Sport, 06 maggio 2022

Il patriota Milutin Ivkovic vittima della follia nazista

Il grande difensore jugoslavo fu fucilato dai suoi connazionali filo-nazisti

Lo chiamavano Milutinac ed era uno che non abbassava mai lo sguardo. A nessuno. Nemmeno ai miliziani del plotone di esecuzione che il 23 maggio lo fucilarono in una località sconosciuta dei Balcani. Da uomo libero non poteva accettare che il nazismo imponesse la sua forza e le sue dottrine al Regno di Jugoslavia. Erano gli anni delle feroci repressioni attuate dalle milizie slave fedeli al Führer e dei rastrellamenti diretti dalle stesse SS; la popolazione ostile agli invasori – la stragrande maggioranza – viveva nel terrore. Bastava una soffiata o una parola di troppo e si finiva sotto terra.


Milutin Ivkovic, calciatore di spessore e medico, era già stato arrestato e interrogato più volte. Ma sempre, grazie anche alla sua fama di calciatore, era riuscito ad evitare la condanna a morte. Tuttavia il 22 maggio del 1943 il destino batté alla sua porta: venne nuovamente catturato e portato davanti al comandante delle milizie: si rifiutò di fare i nomi di alcuni compagni di lotta e la sua fine fu scritta. Il giorno dopo sarebbe stato fucilato da quei soldati che avevano tradito il popolo, uno dei quali si rifiutò di sparare, finendo in prigione. Milutin diventò così un eroe nazionale, un emblema della lotta jugoslava e del mondo libero alla tirannia; lui che era discendente di Radomir Putnik, un altro simbolo della ribellione, e del quale ereditò alcuni tratti caratteriali che lo avrebbero accompagnato per tutta la sua vita: patriota, orgoglioso e alieno ad ogni tipo di compromesso sui valori della nazione che amava più di ogni altra cosa.


Il calcio fu il suo primo amore: difensore grintoso, temperamentale, sapeva toccare la palla con eleganza e muoversi in campo con grande intelligenza. Aveva una dote non comune:era un leader nato. Amato dai compagni perché trasmetteva loro sicurezza e tranquillità, rispettato dagli avversari per la sua lealtà. Esordì giovanissimo nel SK Jugoslavia, club con il quale vinse due campionati nel 1924 e nel 1925 e che gli aprì le porte della Nazionale, diventandone una pedina imprescindibile. Tanto che ai Mondiali del 1930 in Uruguay (ne parliamo sotto) fu nominato capitano. Aveva solo 24 anni, ed aveva appena firmato fra mille polemiche un contratto con il BASK Belgrado (la Stella Rossa attuale). In Uruguay fece successo tanto che la stampa sudamericano lo soprannominò El Gran Milovan. 



Ma quando ritornarono a casa, i componenti di quella spedizione Oltremare trovarono un paese diviso: il regno di Jugoslavia aveva strizzato l’occhio alle nascenti dittature del Continente: e così il principe reggente Paolo Kara d or d evi c si schierò con l’Italia fascista e la Germania nazista. Fu un periodo di sommosse e ribellioni, alcune delle quali stroncate nel sangue. Per questo motivo l’erede al trono Pietro II, grazie ad un colpo di stato, detronizzò lo zio e mise fine all’alleanza con le forze dell'Asse, scatenando così la reazione della Germania che invase il paese. Hitler, come aveva già fatto in altri contesti (la Francia, per esempio) mise al potere uomini che simpatizzavano per il Terzo Reich. Nasceva il governo fantoccio di Milan Nedic.


Milutinac non poteva accettare che la Jugoslavia diventasse una provincia di Berlino: sottomessa, annichilita e spogliata dei suoi poteri. Iniziò allora la sua lotta personale contro il nazismo. Fondò una rivista clandestina che inneggiava al nazionalismo e alla libertà, provocando la reazione dei suoi nemici. Il suo nome finì infatti nella lista nera stilata dai filo-governativi. Nonostante fosse additato come nemico pubblico, Ivkovic non abbandonò la scena e quando venne invitato alla partita di celebrazione dei 40 anni del BASK Belgrado non si tirò indietro.


Sapeva di sfidare il regime a cielo aperto, senza paure o timori. Fu proprio in quella occasione che il governo fantoccio intimò ai suoi sgherri di arrestarlo e di portarlo davanti ad un tribunale con l’accusa di essere una spia dei sovversivi, di coloro che lottavano contro il nazismo e i suoi accoliti. Qualche giorno dopo venne catturato e poi fucilato. Triste destino di un eroe nazionale che ancora oggi viene ricordato dai suoi connazionali come un esempio di fedeltà al paese. Avrebbe potuto tacere come altri calciatori o amici e appoggiare il regime per convenienza: preferì la lotta e pagò con la vita.

JACK PRAN

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