Sport, 12 luglio 2021

Dalle ceneri al trionfo: la vittoria dell’Italia

Dopo il fallimento della campagna di qualificazione al Mondiale del 2018 al successo di ieri sera a Wembley della nazionale di Roberto Mancini

LONDRA (Gbr) – 13 novembre 2017-11 luglio 2021. Dalla serata nera dell’Italia pallonara di San Siro al successo europeo di Wembley. In 3 anni e mezzo ne è passata di acqua sotto i ponti, sia nella vita di tutti i giorni – il covid insegna – sia nel mondo del calcio, soprattutto in Italia. La vicina Penisola è stata una della nazioni più colpite dalla pandemia, specie nella prima ondata, mentre nel calcio, dopo la batosta subita contro la Svezia, con tanto di non qualificazione a Russia 2018, ieri sera è giunta la consacrazione continentale.
 
 
Dopo la sventurata epoca di Ventura – e scusate il gioco di parole – i nostri vicini di casa sembravano sprofondati, sempre calcisticamente parlando, nell’oblio. Guardare un Mondiale da semplici spettatori non è certo cosa comune per gli Azzurri che tanto si vantano – e non solo nel calcio – di essere i migliori. Ce lo ricordiamo un po’ tutti Roberto Mancini, appena giunto sulla panchina italiana, nel maggio 2018 a San Gallo recitare le seguenti parole: “Proveremo a vincere l’Europeo”. Peccato che allora l’Italia stava disputando un’amichevole contro l’Arabia Saudita che, a differenza degli Azzurri, sarebbe poi andata in Russia a giocarsi il Mondiale. E, a essere sinceri, qualche risata ci è scappata e gli avevamo dato del “pazzo”.
 
 
E invece l’ex Sampdoria ci aveva visto giusto, ci aveva visto lungo perché, a differenza del suo predecessore, oltre a capirci di calcio, è riuscito a creare quello che un po’ tutti dobbiamo imparare a fare: creare il gruppo. Sì perché l’Italia, che non perde da 34 partite, anche ieri sera si è aggrappata ai singoli, specie ai rigori, ma ha giocato da gruppo, da squadra: tutti pronti a sacrificarsi l’uno per l’altro, tutti pronti ad aiutarsi e mai una parola fuori posto. Mancini è stato bravo a far sentire ogni singolo
giocatore importante per l’obiettivo, sia nella fase a gironi – contro il Galles ad esempio ha fatto giocare praticamente tutti – sia nella fase a eliminazione diretta.
 
 
La conseguenza? Anche chi ha giocato poco è stato decisivo. Un esempio? Bernardeschi. Troppo facile citare Donnarumma, Chiesa, Bonucci o Chiellini, così come Verratti e Jorginho, più complicato parlare del numero 20 che, nella Juventus, negli ultimi anni il campo lo ha visto pochissimo, giocando male, malissimo. In questo Europeo è partito in panchina, ha giocato il giusto nelle prime sfide ma alla fine contro Spagna e Inghilterra ha trasformato due rigori pesanti, pesantissimi.
 
 
Ieri sera per i nostri vicini di casa è giunta l’apoteosi, anche perché vincere a Wembley, in casa degli inglesi, contro gli inglesi che già si sentivano campioni, che cantavano da settimane “It’s coming home” è stata davvero un’apoteosi. E vincere il titolo in rimonta e ai rigori deve avere un gusto particolare. E noi come Svizzera dobbiamo provare a rubacchiare qualcosa da questo, da questo gruppo azzurro: in questo Europeo la nostra Nazionale è stata molto più compatta, molto più squadra del passato, ma ancora manca qualcosa. E non stiamo a giudicare i calci di rigore, perché in quei momenti bisogna essere freddi, lucidi, sicuri e un po’ fortunati e soltanto con l’esperienza puoi raggiungere questi livelli.
 
 
Per concludere, dopo un mese si è chiuso una manifestazione logorante, difficile da gestire anche per i viaggi (più lunghi per altre nazionali, come la nostra, molto meno per altre come l’Inghilterra) e si è chiuso con la vittoria (è anche corretto sottolinearlo) della squadra che in queste settimane ha mostrato le cose migliori e il calcio migliore: l’Italia, nata dalla ceneri di Ventura e salita su su, fino al tetto d’Europa.

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