Mondo, 13 febbraio 2020

L'inarrestabile crisi demografica dell'Europa

Tassi di natalità sempre più bassi e invecchiamento progressivo della popolazione: sono questi due grandi mali del nostro tempo all’origine della grande crisi demografica che rischia di trasformare l’Europa da Vecchio Continente a continente vecchio. Un trend che si è incancrenito negli ultimi due decenni portando l’età media europea a 43 anni, 12 in più rispetto alla media mondiale (Fonte Onu). A essere maggiormente affette da questa tendenza negativa le regioni dell’est e del sud Europa con conseguenze nefaste su tassi di crescita e finanza pubblica.

Mortalità  e fertilità in calo, migrazioni in aumento

Mortalità, fertilità e fenomeni migratori sono i tre indici della salute demografica di un sistema. Le persone in Europa vivono più a lungo con una aspettativa di vita media che raggiungerà 84,6 anni per gli uomini e 89,1 per le donne entro il 2060. La durata della vita è figlia dei progressi della medicina e si traduce nel cambiamento della struttura dell’età nella popolazione aumentando il numero di persone nella fascia di età più avanzata.

L’elevato numero di sessantenni e ultrasessantenni in Europa è il risultato di alti tassi di fertilità verificatisi tra gli anni 1950-1960: la ritrovata pace sociale ed economica provocò un’impennata di nascite senza precedenti. Gli attuali bassi livelli di fertilità contribuiscono, invece, all’invecchiamento dell’Europa: i tassi di fertilità qui sono ormai inferiori al livello di 2,1 figli per donna e si prevede un loro drastico calo nei prossimi anni. Venendo alle immigrazioni, invece, queste sono state da sempre un mezzo per ringiovanire una popolazione in declino demografico e ribaltare i tassi di invecchiamento. Ma ad ogni immigrazione corrisponde una emigrazione che, a sua volta, invecchia il paese d’origine, accelerando il passo di questa tendenza: è esattamente ciò che sta accadendo ai giovani del Sud e dell’est Europa che, allettati da condizioni lavorative e di vita migliori, preferiscono spostarsi verso il nord Europa, il Regno Unito o fuori dal continente.

Una grey Europe?

La popolazione dell’Ue è cresciuta da 406,7 milioni nel 1960 a 512,7 milioni nel 2018. Le proiezioni di base di Eurostat suggeriscono che la popolazione dell’Ue crescerà più lentamente rispetto al passato, raggiungendo un picco di 528,6 milioni nel 2050, prima di scendere a 518,8 milioni entro il 2080.

L’Europa sta dunque invecchiando drammaticamente, spinta da significativi aumenti dell’aspettativa di vita e tassi di natalità più bassi: l’età media è passata da 38,3 anni nel 2001 a 42,8 nel 2017: la popolazione attiva (dai 15 a 64 anni) si è ridotta nel 2010 e dovrebbe scendere ogni anno fino al 2060. Il cambiamento più significativo è la transizione verso una struttura della popolazione molto più anziana, con conseguente riduzione della porzione in’età lavorativa mentre aumenterà il numero della popolazione pensionata. Si prevede che il numero totale della popolazione anziana aumenterà notevolmente nei prossimi decenni, con proporzioni sempre crescenti di baby boomers che raggiungeranno la pensione. Ciò comporterà un onere elevato per la popolazione in età lavorativa (una fascia sempre più risicata) che dovrà sostenerne la retribuzione.

I Paesi in maggiore difficoltà

Dei 20 paesi in più rapida contrazione nel mondo, 15 sono ex membri del Patto di Varsavia, ex repubbliche sovietiche o componenti dell’ex Jugoslavia: in cima alla lista, infatti, figura la Bulgaria. L’incombente crisi demografica dell’Europa orientale deriva direttamente dalla sua fuga dall’orbita sovietica nel 1989. La libertà di movimento, unita all’appartenenza all’Unione europea senza confini, ha consentito a milioni
di persone di lasciare l’ex blocco sovietico per lavorare e studiare più ad Occidente.
L’emigrazione, unita a  tassi di natalità bassi e in calo – destino a cui non sfugge nemmeno l’Europa occidentale e gli Stati uniti- ha portato a svuotare interi villaggi, lasciando in patria solo i più anziani. Un milione di bulgari hanno lasciato la loro patria dalla caduta dell’Unione Sovietica, principalmente verso altri Stati membri dell’UE; ma questo problema si replica altrove nella regione, dagli stati del Baltico settentrionale, dove la Lituania ha visto un calo della popolazione del 23% dal 1990, ai Balcani. Attualmente, la Bulgaria e la Lituania si contendono lo scettro del paese in più rapida contrazione: tra il 1991 e il 2015, infatti, hanno perso tra il 16% e il 26% della popolazione.

Un’interessante ricerca di Philip Auerswald della George Mason University ha messo, inoltre, in correlazione questi fenomeni con il dilagare dei populismi europei, soprattutto ad Est. Il populismo si nutre della contrapposizione tra popolazione rurale e  declino economico contro la crescita e la crescente prosperità delle più grandi città. Il meccanismo è profondo ma abbastanza intenso: laddove le popolazioni sono scarse o in calo, di solito nei luoghi rurali e nelle piccole città, le economie sono spesso stagnanti e il populismo vende alla grande. I popoli antichissimi che hanno vissuto l’euforia della caduta del muro di Berlino, dunque, ora devono affrontare un futuro incerto segnato dal malessere demografico. Due le conseguenze immediate: la prima, quella economica, poiché la crescita richiede una forza lavoro in espansione. La seconda, in termini di sicurezza: le nazioni con un calo della popolazione giovane generano forzate armate sempre più esigue e dunque meno efficaci in ambito NATO (è questa, in parte, la causa della crisi dell’esercito tedesco).

Conseguenze e “nuove ricette” per un’Europa che invecchia

Le implicazioni dell’invecchiamento della popolazione indicano che la produzione economica in Europa potrebbe ridursi drasticamente nei prossimi decenni. Una popolazione eccessivamente anziana è indice di un pesante onere sociale ed economico, ovvero una parte significativa delle scarse risorse sarà assegnata per pagare l’assistenza sanitaria e la pensione delle persone anziane nella società. Uno dei parametri per “misurare” la gravità della crisi demografica è il rapporto tra il numero di persone di età superiore ai 65 anni per ogni 100 lavoratori. Se il rapporto è elevato, significa che più anziani sono supportati dai giovani lavoratori. Questo rapporto è in costante aumento in Europa: ad esempio, in Spagna il rapporto potrebbe aumentare del 42% puntando al 67% nei prossimi quattro decenni. L’Italia dovrebbe aumentare del 31% punti al 67%: un disastro sociale ed economico senza pari.

Una soluzione alle porte? I flussi migratori. Al di là dei dibattiti etici, sociali, di sicurezza che scaturiscono dall’argomento, le statistiche e gli studi in materia sostengono che i flussi migratori in entrata sono la salvezza dell’Europa. Lo dimostrano i casi speculari di Bulgaria e Germania: stesso tasso di natalità ma risultati differenti. La differenza sta nell’atteggiamento verso i fenomeni migratori: la Germania sta accettando un numero maggiore di migranti, ergo, sta “invecchiando” più lentamente. Le politiche migratorie, però, non sono l’unica ricetta all’invecchiamento europeo: l’altro punto focale è il miglioramento delle condizioni lavorative femminili. Per lungo tempo un circolo vizioso ha legato l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro ad una drastica riduzione della natalità: gli Stati che, invece, oggi investono in politiche sociali mom-friendly sono quelli che hanno rallentato, se non invertito, il proprio declino demografico.

Francesca Salvatore / insideover.it

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