Cesare Battisti è in volo verso l’Italia. Anni di latitanza segnati da fughe, depistaggi e protezione da parte dei governi di sinistra, sono finiti la scorsa notte, con l’arresto da parte dell’Interpol mentre tentava la via della Bolivia.
Per Battisti potrebbe finalmente trattarsi dell’ultima fuga. L’ultimo tentativo di fuggire dalla rete della giustizia da parte di un uomo braccato dalla polizia italiana e brasiliana e che ha perso, in poche settimane, quella tutela di cui ha goduto per anni. Protetto dalle autorità locali perché ritenuto un combattente per la causa del socialismo e non semplicemente un “assassino puro”.
E la protezione di Brasilia, Battisti l’ha persa quando al potere è salito Jair Bolsonaro. Da candidato dell’ultradestra brasiliana prima ancora che da presidente, Bolsonaro ha immediatamente promesso all’Italia la restituzione di Battisti. Una mossa che a molti è apparsa anche eccessivamente ricercata, visto l’impegno profuso da parte del candidato per il “trono” di Brasilia a farsi amica l’Italia. Ma in realtà è stata una mossa strategica di particolare importanza che ha mostrato da subito la volontà del futuro presidente brasiliano di entrare a far parte del mondo sovranista al potere. Un vero e proprio club che sta cercando di prendersi il mondo. E che necessita di alleanze solide e che spazino dall’America all’Europa.
Bolsonaro questo lo ha capito subito. E lo ha capito anche Matteo Salvini, che ha sostenuto immediatamente il candidato presidente sudamericano con la certezza che avrebbe fatto il possibile per restituire all’Italia il terrorista rosso. Bolsonaro si è presentato al Brasile e al mondo come l’anti-Lula e l’anti-Roussef. E di conseguenza non poteva che negare la protezione del suo Paese a un uomo che ha rappresentato per anni il beniamino della sinistra radicale brasiliana.
L’asse Bolsonaro-Salvini ha funzionato, dunque. Ed ha dimostrato che esiste una sorta di diplomazia internazionale politica (e se vogliamo ideologica) che è sfruttata più della stessa diplomazia classica. È una politica estera parallela, fatta di contatti personali, amici potenti in comune, sponsor internazionali, tweet e messaggi di sostegno che sta creando una sorta di realtà parallela che travalica il mondo compassato e burocratico delle cancellerie. È un mondo diverso: ma è un mondo che è al governo. E per questo va capita la sua importanza.
Bolsonaro e Salvini l’hanno compreso subito. La loro è un’amicizia virtuale che è diventata concreta:
e oggi entrambi sono diventati i simboli del sovranismo sudamericano e di quello europeo. Alleati e con gli stessi alleati, ma con progetti molto diversi sia nei loro rispettivi Paesi che nei loro continente di riferimento, i due leader si sono scelti a vicenda e si relazionano quasi da pari. E questo prescinde dallo stesso connotato ideologico pregresso e da quello che vogliono fare del proprio Stato. Sono alleati politici prima ancora che alleati strategici; amici più che partner.
Anche questo è il mondo (il club) del sovranismo: non serve essere perfettamente allineati sulla strategia da seguire in materia economica o sociale. L’importante è avere quei particolari punti del proprio programma che consentano a questi movimenti di avere una matrice comune, un comune denominatore su cui intanto far nascere alleanze. E questo non solo prescinde dal contenuto effettivo del programma di governo: come dimostrato dalle divergenze che esistono fra l’agenda dell’ultradestra brasiliana e della Lega.
Ma prescinde anche dal fatto che uno sia al governo un altro sia all’opposizione nel proprio Paese. O che uno sia presidente e l’altro ministro di una parte del governo. L’internazionale sovranista garantisce che queste relazioni siano stabili e durature al netto della forza del partito o della posizione che esso riveste all’interno della politica di un Paese.
Si è tutti parte di un’unica grande rete. Sembra essere questo il vero programma della cosiddetta internazionale sovranista. Ed è una rete che vuole prima di tutto sostituirsi all’establishment che ha ha avuto fino ad ora in mano le redini della diplomazia e della politica. Lo si fa partendo da idee diverse ma da alleati comuni. Tutti hanno in Donald Trump uno sponsor comune, e quindi l’amministrazione degli Stati Uniti. Tutti sostengono il consolidamento dei legami con Israele, con Benjamin Netanyahu che riceve a turno la maggior parte dei leader del sovranismo europeo e sudamericano. E tutti quanti sanno di dover contrastare chi ha governato per anni o decenni il Paese in cui vogliono andare al potere.
Per farlo, bisogna essere uniti. E Bolsonaro e Salvini, sul caso Battisti, sono la dimostrazione concreta di questo nuovo modo e questo nuovo mondo della politica internazionale. Tanto che anche in Italia e nello stesso governo, qualcuno inizia a storcere il naso. Il Movimento 5 Stelle cerca di riaffermare che la cattura di Battisti è un risultato del governo in cui il ministro della Giustizia è Alfonso Bonafede un pentastellato. Mentre Bolsonaro, dall’altra parte, twitta a sostegno di Salvini. E il confine tra diplomazia parallela, personale e tradizionale si assottiglia sempre di più.
(Via gliocchidellaguerra.it)