Per Battisti potrebbe finalmente trattarsi dell’ultima fuga. L’ultimo tentativo di fuggire dalla rete della giustizia da parte di un uomo braccato dalla polizia italiana e brasiliana e che ha perso, in poche settimane, quella tutela di cui ha goduto per anni. Protetto dalle autorità locali perché ritenuto un combattente per la causa del socialismo e non semplicemente un “assassino puro”.
E la protezione di Brasilia, Battisti l’ha persa quando al potere è salito Jair Bolsonaro. Da candidato dell’ultradestra brasiliana prima ancora che da presidente, Bolsonaro ha immediatamente promesso all’Italia la restituzione di Battisti. Una mossa che a molti è apparsa anche eccessivamente ricercata, visto l’impegno profuso da parte del candidato per il “trono” di Brasilia a farsi amica l’Italia. Ma in realtà è stata una mossa strategica di particolare importanza che ha mostrato da subito la volontà del futuro presidente brasiliano di entrare a far parte del mondo sovranista al potere. Un vero e proprio club che sta cercando di prendersi il mondo. E che necessita di alleanze solide e che spazino dall’America all’Europa.
Bolsonaro questo lo ha capito subito. E lo ha capito anche Matteo Salvini, che ha sostenuto immediatamente il candidato presidente sudamericano con la certezza che avrebbe fatto il possibile per restituire all’Italia il terrorista rosso. Bolsonaro si è presentato al Brasile e al mondo come l’anti-Lula e l’anti-Roussef. E di conseguenza non poteva che negare la protezione del suo Paese a un uomo che ha rappresentato per anni il beniamino della sinistra radicale brasiliana.
L’asse Bolsonaro-Salvini ha funzionato, dunque. Ed ha dimostrato che esiste una sorta di diplomazia internazionale politica (e se vogliamo ideologica) che è sfruttata più della stessa diplomazia classica. È una politica estera parallela, fatta di contatti personali, amici potenti in comune, sponsor internazionali, tweet e messaggi di sostegno che sta creando una sorta di realtà parallela che travalica il mondo compassato e burocratico delle cancellerie. È un mondo diverso: ma è un mondo che è al governo. E per questo va capita la sua importanza.

Bolsonaro e Salvini l’hanno compreso subito. La loro è un’amicizia virtuale che è diventata concreta: e oggi entrambi sono diventati i simboli del sovranismo sudamericano e di quello europeo. Alleati e con gli stessi alleati, ma con progetti molto diversi sia nei loro rispettivi Paesi che nei loro continente di riferimento, i due leader si sono scelti a vicenda e si relazionano quasi da pari. E questo prescinde dallo stesso connotato ideologico pregresso e da quello che vogliono fare del proprio Stato. Sono alleati politici prima ancora che alleati strategici; amici più che partner.
Anche questo è il mondo (il club) del sovranismo: non serve essere perfettamente allineati sulla strategia da seguire in materia economica o sociale. L’importante è avere quei particolari punti del proprio programma che consentano a questi movimenti di avere una matrice comune, un comune denominatore su cui intanto far nascere alleanze. E questo non solo prescinde dal contenuto effettivo del programma di governo: come dimostrato dalle divergenze che esistono fra l’agenda dell’ultradestra brasiliana e della Lega.
Ma prescinde anche dal fatto che uno sia al governo un altro sia all’opposizione nel proprio Paese. O che uno sia presidente e l’altro ministro di una parte del governo. L’internazionale sovranista garantisce che queste relazioni siano stabili e durature al netto della forza del partito o della posizione che esso riveste all’interno della politica di un Paese.
Si è tutti parte di un’unica grande rete. Sembra essere questo il vero programma della cosiddetta internazionale sovranista. Ed è una rete che vuole prima di tutto sostituirsi all’establishment che ha ha avuto fino ad ora in mano le redini della diplomazia e della politica. Lo si fa partendo da idee diverse ma da alleati comuni. Tutti hanno in Donald Trump uno sponsor comune, e quindi l’amministrazione degli Stati Uniti. Tutti sostengono il consolidamento dei legami con Israele, con Benjamin Netanyahu che riceve a turno la maggior parte dei leader del sovranismo europeo e sudamericano. E tutti quanti sanno di dover contrastare chi ha governato per anni o decenni il Paese in cui vogliono andare al potere.
Per farlo, bisogna essere uniti. E Bolsonaro e Salvini, sul caso Battisti, sono la dimostrazione concreta di questo nuovo modo e questo nuovo mondo della politica internazionale. Tanto che anche in Italia e nello stesso governo, qualcuno inizia a storcere il naso. Il Movimento 5 Stelle cerca di riaffermare che la cattura di Battisti è un risultato del governo in cui il ministro della Giustizia è Alfonso Bonafede un pentastellato. Mentre Bolsonaro, dall’altra parte, twitta a sostegno di Salvini. E il confine tra diplomazia parallela, personale e tradizionale si assottiglia sempre di più.
(Via gliocchidellaguerra.it)