LUGANO – Il giorno dopo, forse, fa ancora più male. A mente fredda, a menta lucida ci tornano in mente i punti di svolta della finale persa contro gli USA. Ci abbiamo dormito su – male – e siamo di nuovo qui a ripensare quanto avvenuto ieri sera sul ghiaccio della Avicii Arena di Stoccolma, in occasione della finale iridata di hockey. 12 mesi fa fu il tracciante di Pastrnak a fulminare Genoni e a mandare in frantumi i nostri sogni di gloria; questa volta a consegnare l’oro agli Stati Uniti, dopo 65 anni, è stato il polsino di Thompson al 62’02 di un atto conclusivo in cui la Svizzera ha giocato meno bene rispetto a tutto il resto del Mondiale e ha sofferto oltremisura una squadra giovane, volenterosa che nella fase a girone avevamo battuto per 3-0.
Certo se quel polsino di Malgin avesse avuto maggior fortuna, se quel tiro fosse stato 2 cm più alto, non incappando fortunatamente nel guanto di Swayman, ora staremmo a parlare di tutt’altro e staremmo qui ancora a brindare e a saltare di gioia dall’alto del tetto del mondo. Peccato che con i “sé” e con i “ma” non si costruisce una vittoria e non si ottiene nulla. In ogni caso, anche ieri sera come già in altre finali, la buona sorte non è stata dalla nostra: se del tiro di Malgin abbiamo appena detto, cosa dovremmo dire della chirurgica rete finale di Thompson, il cui tiro – una manciata di secondi dopo il tentativo dell’attaccante dei Lions – è passato sotto la gamba di Siegenthaler per una manciata di centimetri e si è infilato a un passo dalla spalla di Genoni?
Purtroppo queste immagini ci gireranno e ci torneranno in mente per almeno 12 mesi, ovvero fino al Mondiale che ospiteremo l’anno prossimo a Zurigo e a Friborgo, dove la cornice di pubblico sarà sicuramente diversa e dove, ci auguriamo, il finale potrà essere diverso. Sì perché se è vero che Patrick Fischer resta convinto che la Svizzera prima o poi vincerà il Mondiale, se è vero che l’oro al momento sembra snobbarci e non volerci, se è altrettanto vero che gli anni passano e la carta d’identità non sorride più ad alcuni giocatori (Genoni, ad esempio, ha ormai 37 anni) e le nuove generazioni non sembrano fare benissimo nei Mondiali di categoria, è altrettanto vero che questa Nazionale l’oro lo meriterebbe. Lo meriterebbe e lo merita per quanto fatto in questi anni, per quanto dimostrato negli ultimi 12 anni con 4 finali – di cui 2 consecutive – e lo avrebbe meritato quest’anno anche per salutare Andres Ambühl con una partita che lo avrebbe, ancora di più, consegnato alla storia.
Ci riproveremo fra un anno, questo è sicuro, con ancora più voglia, ancora più rabbia e ancora più determinazione. Chiedendoci se magari con un Hischier in più nel motore ci saremmo potuti presentare a Zurigo l’anno prossimo da campioni in carica…