Sport, 07 giugno 2022

“Lugano sempre nel cuore e in Brasile non allenerò più”

Abel Braga, il tecnico carioca che nell’ultimo anno ha vissuto forti emozioni

LUGANO - L’appuntamento telefonico è per le 20 brasiliane (la una di notte svizzera!). Abel Braga, come tutti i giorni, prima di cena fa una lunga passeggiata sul lungomare di Leblon, dove una leggera brezza spazza via le ultime ondate di calore. Siamo a giugno ma Rio de Janeiro balla già su temperature piuttosto alte (fra 30 e 35 gradi) e per l’ex tecnico bianconero la spiaggia e i suoi folcloristici baretti sono un’ occasione imperdibile per incontrare gli amici e i conoscenti di ieri e di oggi. Si parla di calcio e di politica ma soprattutto si cerca di sdrammatizzare le brutte cose dalla vita: il Brasile è un paese sempre più povero e la gente è stanca. I prezzi, a non dubitarne, sono saliti alle stelle; la carne, il riso e i fagioli sono diventati beni di consumo carissimi e non tutti se li possono permettere. Anche la grande città carioca è stata travolta dalla crisi: il turismo, dopo una leggera e comprensibile impennata post-covid, sta calando. “Sono nato e cresciuto in questa meravigliosa realtà e le dico che i problemi che si riscontravano negli Anni Sessanta, sono gli stessi che viviamo oggi. Il paese non cambia mai: e quando ci prova, succede sempre qualcosa di imprevisto” dice un rassegnato Braga, che nell’ultimo anno ha comunque vissuto emozioni sportive molto forti: sia a Lugano che nel Fluminense, due società che in un modo o nell’altro lo hanno segnato profondamente. Due esperienze che sono terminate in malo modo: con un licenziamento (in Ticino) e un abbandono (in Brasile). Tanta amarezza, certo, ma anche grandissime soddisfazioni.


Abel: da dove cominciamo?
Vorrei partire dalla conquista da parte del Lugano della Coppa Svizzera. Quando ho saputo che aveva battuto il San Gallo in finale ho sentito una grande gioia. Per il tecnico, per lo staff e per i giocatori, con i quali nel breve periodo in cui ho diretto la squadra svizzera, mi sono trovato benissimo. Ancora nei giorni scorsi ne parlavo con il mio assistente storico, Leomir: Lugano al netto dei problemi sorti con la nuova proprietà e del piccolo lasso di tempo in cui abbiamo lavorato, è stata certamente la migliore realtà estera in cui ho operato. Nel club bianconero ho conosciuto tantissime brave persone ed un ambiente calcistico di grande livello.


Eppure non è bastato.
La nuova proprietà americana voleva cambiare e in fondo posso anche capirla. Alla fine, poi, ci ha azzeccato (ride, ndr). Via Braga, dentro Croci Torti ed ha vinto un titolo. Scherzi a parte il finale di quella avventura non mi ha scombussolato più di quel tanto, perché nel calcio sono situazioni che capitano spesso. Ormai sono abituato e sono troppo vecchio per stupirmi.


Del calcio svizzero lei ha sempre tracciato un giudizio molto positivo.
Ritmo, intensità e qualità tecnica! E poi un livello di professionalità e programmazione che noi in Brasile ci possiamo solo sognare. Nel mio paese siamo indietro anni luci rispetto al vecchio continente. E questo con gli anni si è rivelata una vera e propria palla al piede. 


Dopo Lugano, dopo la separazione dal club di Mansueto, lei è approdato nuovamente al Fluminense. 
/> Debbo dire che non mi aspettavo di tornare in quella squadra che in passato avevo già diretto tre volte, ottenendo fra le altre cose anche un titolo brasiliano nel 2012. Il Fluminense è la squadra del mio cuore, la mia casa, sportivamente parlando: lì ho iniziato a giocare nel lontanissimo 1968, avevo appena 16 anni. Tornarci per la quarta volta è stato bellissimo, anche se il finale è stato piuttosto amaro… 


Partiamo dalle cose belle.
Partiamo da quel meraviglioso 3 aprile, quando abbiamo vinto il campionato carioca battendo in finale il Flamengo. Erano 10 anni che il Fluminense non alzava al cielo quel trofeo! E guarda caso
nel 2012 ero proprio io alla guida della squadra. Ricordo anche i complimenti di Fred, ex attaccante della Nazionale brasiliana e idolo dei tifosi: ai microfoni di tutte le emittenti carioca presenti alla finale mi definì un guerriero. Mi sono commosso. Del resto, a 70 anni ci può stare.


Curiosità: con lei in panchina sedeva anche Leomir, suo vice a Lugano.
È da tanti anni che lavoriamo insieme. Dove vado io, va lui. Leo è uno dei migliori assistenti brasiliani, averlo al mio fianco in tutti questi anni è stato decisivo. Insieme abbiamo conquistato 21 titoli! Negli ultimi giorni non ci siamo visti: purtroppo ha beccato il covid! Ma si sta riprendendo bene. Presto saremo di nuovo in pista.


Un mese dopo aver vinto il titolo carioca, lei però ha lasciato. 
Nelle prime partite del campionato brasiliano non abbiamo raggiunto il livello di gioco del torneo statale e il pubblico ha cominciato a metterci pressione. Per un po' ho sopportato la situazione, poi dopo una una trasferta della Copa Sudamericana ho deciso che poteva bastare. E di fatti ho rassegnato le dimissioni. Non sentivo più la fiducia della mia gente e quando capisci che non ci sono vie d’uscita, preferisci lasciare ad altri il compito di continuare.


Ma non solo.
Esatto. La mia decisione è maturata anche perché il calendario del calcio sudamericano (e quindi brasiliano) ultimamente è diventato impossibile. Nel giro di sette giorni abbiamo giocato a Barranquilla in Colombia una partita della Sudamericana, poi siamo tornati in patria per due altre gare e infine abbiamo affrontato il Santa Fè argentino per una nuova sfida del torneo continentale. Roba da pazzi. Sono ritmi che nessuno riesce a sopportare. Poi ci si lamenta se le squadre faticano a trovare amalgama o un gioco degno di tal nome: non abbiamo mai tempo per allenarci, si gioca e stop. Era giunto il momento di dire basta.


E adesso?
E adesso me sto a casa tranquillo, in famiglia, anche se non nascondo la volontà di poter tornare su una panchina. Ma non in Brasile! Qui non voglio più allenare. Ne ho viste troppe. Non mi dispiacerebbe tornare in Europa o in Asia. Recentemente ho ricevuto una proposta da un club degli Emirati Arabi ma ho deciso di non accettarla perché non avevo garanzie tecniche. Mi è stato detto che la squadra aveva come unico obiettivo la salvezza. E allora ho preferito declinare.

MAURO ANTONINI

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