Opinioni, 10 gennaio 2022

Deriva della spesa pubblica e limiti della politica

Il tema che voglio proporvi in questo inizio d’anno è quello dell’esplosione della spesa pubblica, in particolare nell’ultimo decennio, alla quale i nostri politici non riescono ormai a porre rimedio. Tante declamazioni da una parte o dall’altra ma niente di concreto, se non qualche ritocchino lineare che non risolve alla base la problematica, anzi va a discapito dei servizi più virtuosi e meritevoli.

Solo qualche semplice cifra per mostrare come siamo ridotti: in Ticino la spesa pubblica annua cantonale ammonta a CHF 4 miliardi, più di 11000 franchi per abitante. Si potrà obiettare che anche altri Cantoni non navigano meglio, ma tantè! Questa enorme somma è principalmente composta da Spese per il funzionamento per 1.4 miliardi - dei quali solo Personale CHF 1.1 - e Contributi per CHF 2.1 miliardi.

Ora, la politica sola non riesce a trovare una via d’uscita in quanto condizionata dalle scadenze elettorali, preoccupata di confermare consensi e di riflesso allergica a creare scontenti. Tende quindi inesorabilmente a creare nuovi servizi ma fatica a rivedere quelli esistenti. Se si vuole venirne a capo non si può prescindere dal demandare questo compito a dei professionisti esterni all’apparato. Già quand’ero all’università, ormai 40 anni fa, il professore di economia pubblica tematizzava l’incapacità del politico di uscire da questo vortice e di vedere oltre le ragioni di partito per impostare una seria ristrutturazione dell’azione politica. Unica soluzione, spiegava, è data dalla sperimentazione di un bilancio «a base zero», sviluppato dagli economisti negli anni ’70, poi implementato negli Stati Uniti e dagli anni 90 anche in Cina.

In parole povere consiste nel superamento del criterio della spesa storica per ripensare il ruolo funzionale ma anche redistributivo del bilancio dello Stato. Alle nostre latitudini e senza voler sconfinare nelle competenze che spettano al Legislativo (definire Cosa lo Stato deve fare) ci si potrebbe in una prima fase dedicare per lo meno al suo funzionamento in base agli attuali compiti (dunque sul Come li assolve), il che costituisce già una sfida ardua e coraggiosa. Si tratta in sostanza di rivalutare le esigenze e i costi di ogni funzione dell’apparato statale dedicandole i mezzi necessari, indipendentemente da quanto denaro è stato finora attribuito. Occorre basarsi sui bisogni reali uscendo dalla logica dell’abitudine, eliminando procedimenti obsoleti e non più efficaci.

Bisogna insomma allocare i fondi sulla base delle esigenze attuali anziché delle spese storiche e trovare soluzioni alternative per ridurre i costi eccessivi. Questo procedimento inizia con un’accurata analisi dei bisogni di ogni servizio, ripensandolo da zero con un approccio analitico. Importante riesaminare anche la conformazione degli Uffici individuando possibili organizzazioni alternative atte a realizzare risparmi, a migliorarne
la qualità, le competenze, la performance e la trasparenza. Con l’esercizio si valutano quindi anche modelli alternativi di erogazione dei servizi che consentano miglior efficienza a livelli di spesa inferiori, approfittando a fondo anche delle nuove tecnologie digitali. Un lavoro certamente molto impegnativo che dovrebbe coinvolgere tutti e cinque i Dipartimenti unitamente alla Cancelleria dello Stato.

Il Potere Giudiziario non può ovviamente in questo contesto esser preso in considerazione. Per questa importante analisi non serve ricorrere a blasonate società di revisione, che in passato hanno peraltro spesso sfornato solo soluzioni standardizzate a costi astronomici. Occorre a mio avviso comporre un gruppo ristretto di tecnici esterni di comprovata esperienza (due-tre economisti, un legale, un ingegnere, un informatico, un esperto in risorse umane). Essi devono poter operare in modo assolutamente indipendente, organizzandosi autonomamente e scegliendo un coordinatore.

Dovranno poter contare sull’aperta collaborazione dei funzionari e anche far capo a risorse esterne in funzione delle problematiche 2 puntuali che si presenteranno, attingendo laddove possibile alle risorse USI e SUPSI per compiti ben circoscritti. Il tutto con l’obiettivo di giungere con un rapporto circostanziato al Consiglio di Stato nel termine di un anno. Il documento dovrebbe proporre una visione ottimale per ogni componente dell’Amministrazione, dalle Divisioni giù fino ai singoli Uffici. Un nuovo assetto che consenta di guadagnare in efficienza, efficacia, ridurre gli sprechi, migliorare il coordinamento interno fra i comparti, uniformare il carico di lavoro fra gli stessi e allo stesso tempo portare per quanto possibile un cambiamento culturale in seno all’organizzazione.

Non va sottaciuto che alla fine dell’esercizio vi saranno delle forze in esubero che potranno però essere diluite sull’arco di alcuni anni limitando le conseguenze personali. Ciò implicherà sicuramente anche il ricorso a pensionamenti anticipati e, per i profili idonei, il trasferimento interno ad altre unità in luogo di nuove assunzioni. Con la necessaria condivisione e determinazione nel giro di 2-3 anni si potranno vedere i primi frutti. Poi la seconda più impegnativa e delicata fase, proprio perché tocca le diverse sensibilità politiche, consisterebbe nel rivedere la pletora di contributi e sussidi elargiti dal Cantone che assommano ad oltre 2 miliardi di franchi. Una fiumana di interventi assolutamente opaca, sparsa in mille rivoli che spesso vanno a sovrapporsi e che, sommata alle deduzioni fiscali, è per finire anche causa di disparità di trattamento con i più scaltri a prevalersene. Ma questo è un compito che dovrebbe essere demandato ad una apposita commissione in seno al Gran Consiglio: sulla volontà di intraprendere questo passo non possiamo esprimerci ma qualche timore l’abbiamo.

Piergiuseppe Vescovi
Economista

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