Mondo, 09 novembre 2021

NBA, parla Dan Peterson: “Una macchina da guerra”

Nel 75esimo anniversario della fondazione della lega di basket più famosa al mondo

Il coach per antonomasia Dan Peterson (85 anni) e la National Basket Association: un rapporto solo sfiorato ad inizio Anni Ottanta. Nulla di grave, osserva l'ex tecnico di Bologna e Milano: in Italia è stato e sta benissimo. Ma se c'è da parlare della lega più famosa al mondo non esiste un personaggio o un tecnico migliore. E proprio adesso che la NBA ha compiuto 75 anni può sbizzarrirsi. 


Dan Peterson: la NBA compie 75 anni. Storia di un grande successo. 
La National Basket Association è diventata nel corso degli anni una vera e propria macchina da guerra. Business allo stato puro ma senza perdere la sua identità sportiva. Una lega che deve il suo successo alla serietà e alla competenza di chi l'ha diretta o la dirige. Sono stati bravi a farla diventare un fenomeno mondiale, il suo successo è dovuto anche alla TV, che l'ha portata fuori dal Nordamerica e fatta conoscere.


Eppure ci sono stati dei momenti difficili.
Inizialmente non tutto è filato liscio e ci sono stati anche dei fallimenti di alcune società. Diciamo che sino al 1946, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il basket americano si reggeva sulla rivalità di due leghe: la BAA e la NBL. Con la loro fusione, che non è stata facile da attuare, la pallacanestro è finalmente decollata. È stato negli Anni Cinquanta, con la finalissima fra i Boston Celtics e St. Louis (ripresa dalla televisione con le dirette di tutte le 7 partite di finale) che è nato il boom.


Vinsero i Celtics.
Fu una gara memorabile: ancora oggi a distanza di tanti anni se ne parla a livello mediatico. La squadra di Boston s`impose in gara 7 con un punteggio risicatissimo: 125 a 123 dopo due tempi supplementari. Credo che sia stato proprio quel match a dare visibilità alla NBA. Ricordo che a quei tempi prima di ogni sfida si esibivano anche gli Harlem Globetrotters. Incredibile! 


Un contesto, quello del basket, che negli Stati Uniti ha aperto la strada all’emancipazione degli atleti afro-americani. 
Credo che il basket abbia offerto molte possibilità a tutti. Gli afro-americani hanno trovato una forma per il loro riscatto sociale ma non hanno mai mescolato le cose. Lo sport da una parte, le lotte politiche dall'altra. Prendiamo ad esempio Michael Jordan, che ha sempre sostenuto la gente di colore e gli emarginati ma con stile e senza fare proclami, creando anche una fondazione. 


Torniamo alla NBA: lei ha definito Michael Jordan il Maradona del basket. 
Se parliamo di sport, certamente. Michael incarnava lo
spettacolo, giocava per la gente e cestisticamente era un modello. Nella vita, tuttavia, era assai diverso da Diego. I due si assomigliavano unicamente dal punto di vista sportivo.


Chi sono per Dan Peterson i cinque giocatori più forti della storia della NBA? 
Non è facile stilare una classifica, perché ogni epoca è diversa dalle altre: e il basket è cambiato moltissismo. Direi comunque Bill Russell, eroe degli anni Cinquanta e Sessanta, Larry Bird, il grande Michael Jordan, Magic Johson e pure Lebron James. Ma è una classifica da prendere con le pinze, perché potrei citarne molti altri di big.


E i cinque migliori coach?
Così istintivamente cito Popovich, Riley, Holzman, Daly e Jackson. Quest'ultimo detiene il primato di titoli della NBA: 13 vittorie! Con i Chicago Bulls e i Los Angeles Lakers. Non scontato. 


Lei non ha mai allenato in NBA. Ci è andato solo vicino. 
Esatto. Fu nel 1980. Ebbi dei contatti con gli Utah Jazz e New Orleans ma non se ne fece nulla. E in fondo, a 40 anni di distanza, non me ne dispiaccio. In Italia ho trovato il mio spazio e mi sono creato una seconda vita: ci sto bene insomma. Certo, allenare in quel contesto meraviglioso chiamato NBA è il sogno di chiunque diriga una squadra. Ma il fatto che non ci sia mai andato non mi ha mai pesato.


Oggi la National Basket Association tiene bene la concorrenza di altre discpline. Pensiamo al football americano e al baseball. 
Con gli anni il football ha soppiantato il baseball, che per lunghi periodi è stato lo sport numero 1 per gli americani. Del resto era nato sul finire del 1800. Sino agli anni Cinquanta era così, poi il football è esploso e ancora oggi è al primo posto nel gradimento dei nostri tifosi. Ma il basket nel frattempo ha raggiunto il baseball. Ai giovani piacciono sempre di più gli sport di contatto. La TV ha poi fatto il resto.


E il calcio?
Ha fatto moltissima fatica ad imporsi. Ma ora sta crescendo, in silenzio e senza proclami, come negli Anni dei Cosmos, quando sembrava che Dio fosse arrivato sulla terra e invece fu un flop. La gente faceva fatica a capire lo spirito di quello sport prettamente europeo e sudamericano. Poi le cose sono cambiate e ora posso dire che il calcio è in crescita. Soprattutto negli stati del Sud, dove la presenza di molti latino-americani è una molla importante. Nel 2026 ci saranno i Mondiali assieme al Messico: le posso già dire che saranno un successone.

M.A.

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