Sport, 17 aprile 2025

“Aza Nikolic, un maestro e Lou Dunbar un fenomeno”

Basket: nostra intervista esclusiva con l’ex giocatore della Federale Manuel Raga

LUGANO - Le prime parole sono per il nostro collega Marco Galli, purtroppo deceduto lo scorso anno: “Non sapevo della sua prematura scomparsa. Sono triste, era un amico. Ricordo che mi chiamava spesso e ogni tanto mi faceva anche una intervista”. L’ultima, il messicano la rilasciò proprio al Mattino della Domenica nel 2021 e la firmò il buon Marco. Comunque: l’ex trascinatore dell'Ignis Varese e della Federale ha appena compiuto 81 anni e nei giorni scorsi, grazie ai buoni uffici di Roberto Benigni (ex titolare del mitico Nibbio, ritrovo luganese di sportivi, giornalisti e personaggi improbabili) siamo riusciti a contattarlo: el mejor de todos, come lo chiamavano negli Anni Settanta, vive a Ciudad Victoria, una città dello stato messicano del Tamaulipas, con la moglie Lucila, ex nazionale di pallavolo cubana. “Sto con lei da diversi anni. È un amica preziosa”, ci dice al telefono l’ex idolo di Varese e Federale, che si tiene sempre aggiornato sul basket europeo, in particolare quello italiano. “Sulla pallacanestro ticinese invece non ho molte informazioni. Da tempo non sento più Alessandro Cedraschi, che di solito mi teneva aggiornato”. 



Manuel Raga ha comunque altri contatti in Ticino. Oltre al figlio Manuel junior, anche lui ex giocatore di basket, si tiene stretti alcuni amici che si è fatto nel periodo della sua permanenza sulle rive del Ceresio. “Non ho mai dimenticato quei tempi. Certo, sportivamente non sono comparabili a quelli di Varese ma a livello umano mi hanno dato tantissimo. Non a caso appena posso, torno in Ticino per una bella rimpatriata”, ci dice Raga al telefono.


Insomma, Manuel, Lugano è sempre nel suo cuore.
Certamente. Per me è stata una bellissima avventura. E pensare che inizialmente, quando mi proposero di firmare per la Federale, non volevo accettare. In ballo avevo anche una proposta di un club francese. La città ticinese mi ha comunque dato tantissimo dal profilo umano. Ho conosciuto tante persone e con alcune di loro ho fatto amicizia, alcune delle quali sono sopravvissute all'usura del tempo. Ci sono stati momenti difficili, è vero, ma nella vita capita che ogni tanto qualcosa vada storto. Io però non posso lamentarmi. Mantengo vivo i contatti grazie anche a mio figlio Manuel.


Non solo Lugano, però: a Varese lei rimane un idolo.
Nella società dell'allora presidente Borghi ho conosciuto gloria, fama ed ho guadagnato i primi soldi importanti. E quando sono andato via i tifosi si sono ribellati. In seguito mi hanno fatto anche cittadino onorario. Cosa che non succede tutti i giorni. Però quando sono arrivato in Italia non ero un mister nessuno: con la nazionale del mio paese mi ero messo in evidenza ai Giochi Panamericani e alle Olimpiadi messicane del 1968 . Fu così che il direttore generale varesino Gualco mi mise sotto contratto. Feci la scelta migliore.


Con Varese ha scritto la storia.
Tre scudetti, tre coppe nazionali, tre Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali e tanti premi individuali. Per me fu un trionfo, in fondo si realizzava un sogno. E quasi venni pure scritturato dalla National Basket Association. Nel 1970, dopo il mio primo anno varesino, venni contattato dal direttore generale degli Atlanta Hawks Marty Blake, ma non se ne fece nulla. Ci volevano un sacco di soldi per riscattare il mio contratto. Allora i club non erano ricchi come oggi. Purtroppo però nel 1973 dovetti lasciare Varese: il coach Aza Nikolic (colui che mi aveva insegnato a stare in campo!) decise di rimpiazzarmi con l'americano Bob Morse. In campionato giocava lui, nelle competizioni internazionali venivamo schierati entrambi. Con Bob formanno una coppia letale. Uno spettacolo. Nel 1974 però decisi di cambiare aria ed approdai alla Federale.


Per il basket svizzero una manna.
Fu grazie alla grande disponibilità del presidente Chico Frigerio e all’intuito di Ciccio Grigioni se arrivai in Ticino. Non ci credeva nessuno quando la notizia uscì sui giornali. Se non sbaglio fu Peo Mazzola a darla, anticipando i suoi colleghi. Con il sottoscritto giunsero però altri giocatori stranieri di livello e per la Svizzera fu un successo. Peccato però che negli anni non ci sia stata continuità. Forse i dirigenti non furono lungimiranti, forse non si era capito che prima o poi i mecenati lasciano o scelgono altri sport e allora tutto diventa più complicato.


Alla Gerra, teatro di mille battaglie, si creò un ambiente fantastico.
Se una squadra dà spettacolo, la gente si entusiasma e si emoziona. E noi, la Federale, ma anche altre squadre come Viganello, Pregassona e Lugano Molino Nuovo creavano, appunto, spettacolo. Logico che la palestra si trasformasse in una bolgia. Per informazioni chiedere ai giocatori del Friborgo o del Vevey.


Quale fu il giocatore che la colpì maggiormente?
Diciamo che con Ken Brady e Louis Dunbar mi sono divertito moltissimo, anche se per me contava molto il gioco collettivo. Io e Dunbar fummo protagonisti in una partita di Coppa dei Campioni contro Cantù. Lui segnò 50 punti e il sottoscritto 33. Perdemmo di una ventina ma che spettacolo! Ma anche contro il Real Madrid e il Maccabi Tel Aviv non sfigurammo. Avevamo la mentalità giusta per affrontare questi squadroni.


Un aneddoto, per finire.
Ricordo che giocammo a Tel Aviv contro il Maccabi, una vera e propria corazzata. Prima che la partita iniziasse un signore con una benda nera sull'occhio venne a salutare i giocatori delle due squadre. Non sapevo chi fosse. Alla fine scoprii che era Moshé Dayán, generale dell'esercito israeliano ed eroe di guerra.

M.A.

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