Ticino, 24 settembre 2020

La montagna che muore

Abbiamo ritenuto opportuno riproporre il grido di dolore, ricco di spunti anche per la nostra realtà, espresso da Anna Arneodo, un’allevatrice della Val Grana, in provincia di Cuneo.

Dall'agricoltore Ticinese- Il mondo del lupo prenderà il posto del mondo dell’uomo.
È luna chiara sulla neve, stamattina presto; Venere, stella dei pastori, luccica viva, grande, a levante: un solo lume è acceso nelle borgate sul costone di fronte. Stanotte ha nevicato, ma ora è tornato il sereno.
Lo spartineve è già passato un’ora fa: è la prima neve della stagione, così ora inizia anche quest’inverno. E ci contiamo di nuovo: pochi, sempre più pochi. Scrivo da queste mie montagne che hanno conosciuto nell’ultimo secolo uno spopolamento di oltre il 95%: guardiamo le lapidi dei caduti della prima guerra, in ogni parrocchia sono più quelli morti che i vivi rimasti ora quassù.

Su queste nostre montagne vivere è resistere, la nostra “resistenza” quotidiana. “Aquesto es nosto duro terro d’abandoun…” (“Questa è la nostra dura terra d’abbandono”) come ha scritto un nostro poeta . 1 E in questo quadro di “resistenza”: il lupo! Il lupo è arrivato da noi una ventina di anni fa: prima in Valle Stura (guarda caso: nel Parco delle Alpi Marittime), poi si è allargato. In Coumboscuro, nella nostra valle, ci perseguita dal 2008. Il lupo ha massacrato le ultime resistenze di agricoltura pastorale della nostra montagna: ha cancellato le ultime piccole realtà di pastori-allevatori che curavano scampoli ancora rimasti di agricoltura nelle valli. Il lupo fa il lupo: mangia dove la preda è più comoda, dove sa che intanto nessuno lo tocca. All’inizio eravamo arrabbiati con il lupo: ora abbiamo ben capito che la colpa non è del lupo, ma è di chi protegge solo il lupo e non il pastore. Pastore e lupo non possono vivere assieme, se curi le tue pecore non puoi perdere tutto il tempo a far la guardia al lupo. Il lupo invece ha tutto il suo tempo per cacciare le tue pecore, perché vuole mangiare, fa solo quello. Chi vive “fuori”, lontano dalla nostra realtà di ogni giorno - anche chi in teoria si occupa di montagna, ma la montagna non la vive quotidianamente - questo non lo capisce: ci raccontano (e sovente ne sono convinti) belle storie sul sistema ecologico che rivive sano e vitale, “tant’è che è tornato persino il lupo che era scomparso…”.

Storie ecologiste di una civiltà in decadenza. Intanto: nessun pastore alleva pecore per darle da mangiare ai lupi. Il problema, il vero problema è ben più profondo. L’uomo della montagna, pastore, ma anche agricoltore, artigiano, artista è da secoli portatore di una civiltà che su questa nostra terra si è formata, è cresciuta per secoli: la montagna è la nostra montagna, modellata da chi è vissuto quassù per generazioni prima di noi. Basta guardare i “ruà” (le borgate), i “òuche” (i terrazzamenti), i sentieri, i prati, i pascoli, baite, chiese, cappelle… La nostra montagna è una montagna dell’uomo. L’uomo della montagna ha costruito quassù una civiltà, una sua cultura alpina
che ha trasformato un territorio marginale, difficile da vivere, in una terra dell’uomo: la nostra è una montagna dell’uomo, una montagna antropizzata, non è “wilderness”. Ora tutto questo rischia di scomparire: la storia dell’ultimo secolo, è nota a tutti, l’industrializzazione, lo spopolamento della montagna…, ora la globalizzazione. Ma i pochi montanari veri che sono rimasti - per scelta - nonostante tutto, con il ritorno del lupo rischiano di scomparire.

La montagna non può vivere di solo turismo: per essere viva ha bisogno di agricoltura, di allevamento, ha bisogno di agricoltori-pastori che curano la terra tutto l’anno, non di transumanti che alpeggiano, sfruttano per una stagione e vanno via L’agricoltore-pastore di montagna è il primo curatore dell’ecologia, della biodiversità, della salute della terra. Il pastoreagricoltore, uomo di montagna, è portatore di una civiltà millenaria; ora - ultimo attacco, il lupo - rischia di scomparire per sempre. Qual è la razza a rischio di estinzione: l’uomo della montagna, il pastore o il lupo? Avevo scritto “Ci state massacrando. È un nuovo genocidio della montagna fatto senza sporcarsi le mani”. La frase era scandalosa; La stampa - il quotidiano di Torinome l’ha censurata.

Ma ci stanno massacrando ogni giorno - oltre che con le minacce del lupo - con le grinfie della burocrazia: grinfie anonime che ti perseguitano ovunque, ad ogni passo (se porti le pecore al pascolo, se le tieni in stalla, se le vendi, se le compri…, registri, moduli, sigle, codici…, controlli!) e a cui è impossibile sfuggire. Il peso della burocrazia, per le piccole aziende, in Italia è ormai insostenibile. La montagna, di fronte a tutto questo, sta cedendo sotto il minimo demografico vitale: la mia generazione in qualche misura è riuscita a far resistenza, ma i nostri giovani hanno bisogno di compagnia (l’uomo è un animale sociale) e se questa non c’è più sulle montagne, scende a cercarla in basso.

È un’ultima terribile frana, siamo sull’orlo di un abisso epocale: lo riconosco a malincuore e mi fa male. Questa civiltà alpina, che i nostri antenati in secoli avevano costruito, sta per scomparire: sulle nostre montagne il mondo del lupo prenderà il posto del mondo dell’uomo. Allora, sotto questo gran cielo d’inverno - luna piena a ponente, Venere, stella dei pastori, a levante - mi sovvien di quel pastore leopardiano: “Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai […] Somiglia alla tua vita la vita del pastore. Sorge in sul primo albore move la greggia […] poi stanco si riposa in su la sera: altro mai non ispera […]” E, sinceramente, lo invidio! 2

Anna Arneodo

1 SERGIO ARNEODO, Terro d’abandoun: testo in lingua provenzale alpina, Natale 2011.
2 GIACOMO LEOPARDI, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, 1830.



Agricoltore ticinese: ANNO 151 - NUMERO 3 - VENERDI’ 18 GENNAIO 2019

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