Svizzera, 24 giugno 2019

Xhaka, "un capitano da lasciare a casa"

*Dal Mattino della Domenica. Di Lorenzo Quadri

Il capitano della nazionale (è ancora da capire di quale nazione) Granit Xhaka è tornato ad esultare con il “gesto dell'aquila”, simbolo nazionalista della grande Albania, dopo le polemiche sollevate ai mondiali dello scorso amo. D’accordo, questa volta il “fattaccio” è avvenuto a Pristina durante una partita benefica in cui Xhaka giocava con la maglia delFArsenal. Ma sta di fatto che ci è ricascato. Malgrado le promesse fatte. Non ancora contento, il diretto interessato ha pensato bene di sottolineare il proprio gesto di esultanza tramite i “social”. Ecco un’ulteriore dimostrazione, semmai ce ne fosse ancora bisogno, di quanto si sente svizzero il capitano della nazionale “svizzera”. Ovvero proprio per niente. E non è il solo, in quella compagine, a trovarsi in tale condizione.

Anche nell’esercito

I volatili a due teste, peraltro, non compaiono unicamente sui campi di calcio. Sempre più spesso fanno capolino anche nel nostro esercito. Vedi le foto di militi che posano con bandiere “a tema”, mentre indossano la tenuta dell’esercito svizzero. E qualcuno ha ancora il coraggio di negare che esista un problema di integrazione? Troppi svizzeri naturalizzati, in arrivo da altre culture, ad onta del passaporto rosso non si sentono per nulla legati al nostro paese. Ecco i frutti delle naturalizzazioni facili volute e difese dal triciclo PLR-PPD-P$$.

La contrapposizione

Lo scontro tra valori, per usare una parola grossa, è evidente. A quelli dell’aquila bicipite viene insegnato l’orgoglio per le proprie origini. A noi invece la casta multikulti e gli intellettualini da tre e una cicca inculcano fin dalla più tenera età il disprezzo per la patria. Vedi il lavaggio del cervello sugli svizzerotti “chiusi e gretti che devono aprirsi”. Vedi la trasformazione del termine “patriota” in un sinonimo di “razzista”. Vedi le domande nelle verifiche di geografia delle scuole medie su quanto sono importanti gli stranieri per il Ticino. E gli esempi potrebbero continuare ad oltranza.
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Si attende la reazione energica (?)

E’ di solare evidenza che chi, come è il caso di Xhaka, esulta con le aquile e si emoziona solo quando c’è di mezzo il suo paese d’origine, in nessun caso può vestire la fascia di capitano della nazionale svizzera. Anzi: nemmeno dovrebbe far parte della nazionale svizzera. Altrove sarebbe già stato congedato. Che vada a giocare per una nazionale balcanica. “Ovviamente” si attende l’energica reazione dell’Associazione svizzera di football (ASF) all’ultima alzata d’ingegno del capitano presunto svizzero. Altrettanto ovviamente, da tale gremio flaccido e multikulti non arriverà un bel niente. Lo scorso amo l’allora segretario generale Alex Miescher ebbe il coraggio di parlare chiaro sui calciatori con passaporto multiplo e che esultano con le aquile. Risultato: diede le dimissioni, ovvero venne cacciato con infamia, dopo essere stato pitturato dalla stampa di regime come il “mostro” di turno. Per cui... Inoltre: avanti di questo passo, a furia di accogliere in nazionale giocatori non integrati, prima o poi si pretenderà di togliere anche la croce svizzera dalle maglie per non “offendere la sensibilità” di qualche strapagato pallonaro islamista.

Disinteresse e fastidio

E’ tragico che i vertici dell’ASF, imbesuiti dal politikamente korretto, non si rendano conto che le esultanze con l’aquila portano tanti cittadini elvetici a disaffezionarsi da una nazionale che di svizzero ha ormai solo il nome. A disaffezionarsi, o addirittura a provare fastidio. E quindi non gli importa più se vince o se perde. Ci deve essere una differenza tra un club di giocatori in arrivo dai quattro angoli del globo denominato “Svizzera” ed una nazionale elvetica. E’ ora di abbandonare il primo per tornare alla seconda. Si vince (ancora) di meno? Ce ne faremo una ragione. Tanto (come abbiamo visto lo scorso anno) nemmeno l’attuale club “Svizzera”, farcito di giovanotti che esultano con le aquile, va poi molto lontano. Ma almeno torneremo ad avere una nazionale per cui fare il tifo.

*Edizione del 23 giugno 2019

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