Il Parlamento europeo, riunito a Strasburgo, ha approvato ieri la cosiddetta riforma del copyright: una proposta di direttiva per disciplinare su scala Ue il diritto d’autore, garantendo misure adatte di remunerazione della proprietà intellettuale di colossi del web come Google, Facebook o YouTube.
Fermo restando che manca ancora l’assenso del Consiglio europeo, cioè una maggioranza qualificata degli stati membri UE, il testo, formulato dalla Commissione europea nel 2016, ha l’ambizione di diventare una delle fondamenta del cosiddetto digital single market: il mercato unico digitale, uno spazio economico comune che riproduca l’assenza di barriere raggiunto in quello fisico. Da allora sono passati tre anni e un numero imprecisato di emendamenti che hanno scatenato una lotta accesa fra le due fazioni che si sono fronteggiate fino al verdetto dell’Europarlamento.
Da un lato ci sono sostenitori, rappresentati principalmente dalle associazioni del mondo dell’editoria, discografia, cinema e arte, favorevoli a un impianto che ne aumenterebbe il potere negoziale in vista di accordi ad hoc con i grossi gruppi del Web. Dall’altro un inedito fronte fra i colossi tech e gli attivisti per la libertà del Web, anche se ovviamente le motivazioni dei primi (difesa del proprio modello di business) non hanno nulla a che spartire con quelle dei secondi (timore di meccanismi di censura o comunque limitazione della diffusione di contenuti).
Cosa dice esattamente la direttiva
La proposta di direttiva della Commissione (0593/2016) si proponeva di aggiornare una regolamentazione sul copyright ferma a un testo del 2001, adeguando i paletti legislativi di allora a un mercato cambiato in profondità dai tempi pionieristici del primo e-commerce (uno dei riferimenti del testo di 18 anni fa era eBay) e di un Web diversissimo da quello di oggi. L’obiettivo, arrivato intonso fino al testo al voto il 26 marzo, è quello di salvaguardare "un elevato livello di protezione del diritto d’autore e dei diritti connessi", adattando le norme sul diritto d’autore a un mercato monopolizzato da colossi internazionali che fatturano sull’uso – gratuito – di contenuti prodotti da terzi. Come? In sostanza, le piattaforme che monetizzano sull’intermediazione di opere altrui, come appunto Google o Youtube, devono "responsabilizzarsi" e assicurare la stipula di licenze con i legittimi proprietari dei diritti o la rimozione dei contenuti protetti da copyright. A garantire l’una e l’altra condizione sono i due articoli più controversi del testo, gli articoli 11 e 13, con quest'ultimo che nella versione finale è diventato l'articolo 17.
Le due misure introducono, rispettivamente, una "link tax" (tassa sui link) e un upload filter (un filtro sul caricamento dei contenuti). Nel testo che viene votato il 26 marzo non c’è traccia né del primo né del secondo. L’articolo 15 (ex articolo 11) stabilisce che gli Stati membri debbano provvedere perché "gli autori delle opere incluse in una pubblicazione di carattere giornalistico ricevano una quota adeguata dei proventi percepiti dagli editori per l’utilizzo delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione".
Detto altrimenti gli autori di un contenuto editoriale veicolato dalle piattaforme online (per esempio Google News) devono essere remunerati dai propri editori, a propria volta pagato per i contenuti concessi agli aggregatori digitali. Come? La finalità della direttiva dovrebbe essere quella di incentivare la stipula di accordi, quindi è probabile che una maggiore garanzia di retribuzioni passi – sulla carta – per accordi bilaterali fra editori e aziende digitali.
L’articolo 17 (ex articolo 13) sancisce invece che "un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online (formula burocratica per dire piattaforme online, ndr) deve pertanto ottenere un’autorizzazione dai titolari dei diritti", sempre attraverso una licenza. Se un contenuto protetto da copyright viene caricato senza licenza, le piattaforme si accollano la responsabilità della violazione, a meno che non si possano aggrappare ad alcune