Mondo, 04 febbraio 2019

Rischi dell’immigrazione di massa, ecco perché l’Europa può saltare

Accresce le tensioni sociali, fomenta le disuguaglianze, ed è alimentata da una rete affaristica criminale che di “umano” non ha nulla. Ma per i progressisti, sempre più incapaci di leggere la realtà, l’immigrazione di massa verso l’Europa è un fenomeno inarrestabile ed ineluttabile, e chi si oppone nella migliore delle ipotesi viene etichettato come “razzista” e nelle peggiori come “inumano”- quando la questione è squisitamente politica.

Come spiega, per esempio, il professor Sergio Romano nel suo Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, 2018) parlando di immigrazione “là dove esistono desideri di massa, nascono organizzazioni che cercano di trarne vantaggio. Vi è ormai da parecchi anni un mercato dell’esodo che si è andato progressivamente allargando sino a creare una sorta di mafia transfrontaliera sempre più potente e meglio organizzata”.

Questi nuovi mercanti di schiavi, nota l’ex ambasciatore, “sono crudeli, spietati e vendono il loro servizio a caro prezzo perché possono garantire ai loro malaugurati clienti che i Paesi occidentali, benché contrari all’immigrazione clandestina, faranno del loro meglio per strapparli alla morte nell’ultima fase del viaggio. I governi hanno quindi due buone ragioni per mettere fine a questo fenomeno. Devono evitare l’impatto politico delle migrazioni sulle loro società nazionali e devono stroncare una rete affaristica e disumana”.

Una verità scomoda che gli autoproclamati “umanitari” hanno deliberatamente ignorato e che continuano a snobbare, minimizzando i numeri e le conseguenze sociali devastanti che un’immigrazione senza controllo ha sua una comunità, soprattutto sulle fasce più deboli. Eppure, se parliamo di dati, l’Italia – il 12% della popolazione europea – ha accolto nel 2017  il 70% dei migranti arrivati in Europa via mare, la maggior parte dei quali irregolari. E poi ci si stupisce che gli italiani siano stufi? 

Un’operazione di marketing: rendere l’immigrazione di massa presentabile

Le migrazioni di massa sono state rese possibili grazie anche all’aiuto di George Soros. Un’operazione di marketing geniale quella del finanziere e della sua immensa rete filantropica, se si pensa che chiunque osi criticare o mettere in discussione le iniziative pro-immigrazione delle speculatore naturalizzato americano viene immediatamente tacciato di “complottismo” o, peggio ancora, di “antisemitismo” date le origini ebraiche di Soros
– critica pelosa se si pensa che uno dei maggiori avversari del finanziere è il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (secondo Dc Leaks, Soros avrebbe finanziato con milioni di dollari l’ong progressista The New Israel Fund, ostile alle politiche del governo israeliano).

Quanto al “complottismo”, fu lo stesso finanziere, in un’intervista rilasciata al Wall Street Journal a dire: “Ho deciso di destinare 500 milioni di dollari per investimenti che rispondano alle esigenze di migranti, rifugiati e comunità ospitanti”, annunciò dalle pagine dell’illustre quotidiano americano. Per non parlare di altre iniziative a sostegno dei rifugiati in collaborazione con importanti istituti finanziari. Milioni di dollari donati per perseguire il sogno di una “società aperta”, senza confini, in un mondo dove le nazioni sono un lontano ricordo. Già, ma a quale costo e a vantaggio di chi?

L’incapacità delle élite europee nel gestire il fenomeno migratorio

Al di là di Soros, la fortuna dei populisti è nata là dove le élite politiche europee si sono rivelate totalmente incapaci e inadeguate a gestire e contenere il fenomeno dell’immigrazione. Come ha spiegato Niall Ferguson, storico scozzese che si divide fra Stanford e Harvard, intervistato nei giorni scorsi da Federico Fubini sul Corriere della Sera, “credo che le istituzioni europee non siano in grado di affrontarlo. Sono state disegnate per circostanze completamente diverse, la difesa dei confini davvero non era la priorità. Non credo siano capaci di decisioni che siano sia legittime che efficaci”.

Un’incapacità che, secondo il professore, avrà un impatto politico devastante sull’Europa. In queste circostanze, sottolinea Ferguson, “il percorso dell’integrazione europea è probabilmente terminato. La sola vera domanda riguarda la velocità della disintegrazione”. 

Eppure, non era difficile arrivare alla conclusione che l’immigrazione di massa, oltre ad accrescere le tensioni sociali, contribuisce ad aumentare le disuguaglianze. Secondo James Wickhman, direttore del think-tank Tasc, “coloro che oggi chiedono i ‘confini aperti’ – l’ingresso incontrollato di lavoratori non qualificati verso l’Unione europea – stanno contribuendo affinché la struttura occupazionale sia sempre più polarizzata: sempre più lavoratori pagati poco, maggiore disuguaglianza sociale ed economica”.

(via gliocchidellaguerra.it)

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