Mondo, 12 novembre 2018

Bolsonaro fa la guerra ai narcos e il Brasile rischia di esplodere

Una delle principali motivazioni che hanno portato la maggioranza dei cittadini brasiliani a scegliere Jair Bolsonaro come nuovo presidente è stata senza dubbio la promessa di un giro di vite securitario e di una lotta a tutto campo alla criminalità.

I numeri della delinquenza nel gigante latinoamericano sono a dir poco immensi: oltre all’ormai famoso dato dei 63mila omicidi del 2017 sono da segnalare la scomparsa di 83mila persone, che almeno in parte andranno ad aumentare la conta dei morti assassinati, i 60mila casi di violenze sessuali, la morte di 5.144 persone in conflitti a fuoco con la polizia (+20% dato 2016), cifra da comparare a quella della diminuzione del 5% degli agenti caduti in servizio, che nel 2017 sono stati 367.

Su questo terreno di insicurezza Bolsonaro ha costruito il suo consenso con prese di posizione law and order. Implementarle sarà una sfida enorme che il nuovo Presidente dovrà essere in grado di gestire. Ma sulle ricette da applicare, Bolsonaro ha le idee chiare.

L’agenda di Bolsonaro sul crimine

Come riporta il New York Times, una delle principali proposte del giro di vite di Bolsonaro sul crimine consiste nel “garantire un margine maggiore alla polizia nell’uso della forza. Ha promesso maggiore protezione per gli agenti che uccidono durante il loro servizio, aggiungendo che chi uccide un delinquente dovrebbe essere celebrato, non perseguito”.

Questa svolta securitaria contrasta, almeno nello spirito, con l’idea di snellire i controlli sulla vendita e la circolazione delle armi da fuoco, volta a far sì che ogni cittadino possa difendere la sua incolumità fisica e la sua proprietà. Il contrasto traspira dalla percezione politica: Bolsonaro da un lato difende e intende rafforzare il ruolo della polizia nella lotta al crimine, ma dall’altro sdoganando uno spirito da Far West appare di fatto intenzionato a riconoscere come non risolvibile lo stato di cose che vede numerosi quartieri degradati nelle città brasiliane diventare territori perduti allo Stato, in cui la popolazione è costretta a difendersi in maniera sommaria.

Ha destato preoccupazioni e attratto critiche anche la decisione di abbassare a 16 anni l’età di perseguibilità penale: ciò non solo aggraverebbe il temuto sovraffollamento carcerario, ma comporterebbe un’abdicazione
del ruolo dello Stato nella lotta sociale alla criminalità, che troppe volte avviluppa in tenera età i giovani delle fasce più disagiate della popolazione.
Sergio Moro chiamato da Bolsonaro come superministro della Giustizia

L’ex procuratore capo dell’inchiesta Lava Jato, Sergio Moro, è stato scelto da Bolsonaro come Ministro della Giustizia.

Al di là del fatto che Moro è investito da pesanti conflitti di interesse per le sue precedenti inchieste sui rivali politici di Bolsonaro, è importante sottolineare come il suo ruolo si configura come fortemente responsabilizzato e strutturato. Come riporta Libero, prima di accettare l’incarico Moro “ha chiesto a Bolsonaro, che gliel’ha concessa, anche la delega alla Sicurezza pubblica oltre al Coaf (Consiglio di controllo sulle attività finanziarie) e nominerà anche il nuovo capo della polizia federale”.

Una posizione da vero e proprio “superministro” che metterà Moro in prima fila nell’applicazione dell’agenda giustizialista e repressiva di Bolsonaro in materia di criminalità. Un’agenda che dovrà tenere conto anche del potere crescente dei cartelli dediti a narcotraffico e altri commerci illeciti.
Di recente “la Procura dello Stato di San Paolo (Brasile) ha rivelato che è stata sventata grazie alla Polizia e alla Secretária de Administração Penitenciária (Sap) una clamorosa evasione.

A scappare doveva essere il boss Marcos Willians Herbas Camacho meglio conosciuto come “Marcola”, capo indiscusso della più potente organizzazione criminale brasiliana chiamata Pcc, Primeiro Comando Capital, attuamente detenuto in un carcere di massima sicurezza dove sconta una condanna a 232 anni e 11 mesi per: cospirazione, furto, traffico di droga e vari omicidi”.

Mercenari nigeriani, un commando di paramilitari iraniani e anche uomini delle Farc colombiane avrebbero fatto parte del commando assoldato per liberare Camacho, a testimonianza della pervasività delle reti criminali che attraversano un Brasile sempre più sconvolto. Basteranno gli approcci ferrei di Bolsonaro per cambiare la situazione, o un approccio eccessivamente repressivo e non contornato da rafforzamenti politici rischia di causare contraccolpi?

(Via gliocchidellaguerra.it)

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