Sport, 03 dicembre 2024

Un viaggio nel calcio che fu: “Il dialetto la prima lingua!”

Ernesto Indemini ricorda gli anni del Grande Lugano e si sofferma su quello attuale

LUGANO - Con Ernesto Indemini è facile rompere il ghiaccio partendo dalla vittoria in Coppa Svizzera. Correva l’anno 1968, il Lunedi di Pasqua (data tradizionale dell’allora Trofeo Sandoz, peccato si sia persa nel tempo) il Lugano si aggiudicava la coppa: “Con il Winterthur è stata una grande vittoria (reti di Luttrop e Simonetti, 2-1), me la porto ancora nel cuore nonostante siano trascorsi 56 anni. Il Wankdorf era uno ‘spettacolo’per noi giocatori con tutte quelle bandiere bianconere e rossoblù…”. 



Altri tempi, un altro Lugano: “Eh sì, era il Lugano di Mario (Prosperi), Adriano (Coduri), Simonetto (Simonetti), Remo (Pullica), Flavio (Signorelli), Otto (Luttrop), Vincenzo (Brenna)… Non so se mi spiego!”. Era anche la squadra dei tifosi che non si limitavano a seguirne le gesta in campo ma che si appostavano, al termine della partita, sul piazzale dello stadio in attesa di un autografo! “Vero, la gente veniva da Rancate per Coduri, dalla Collina d’Oro per Gottardi, da Melide per Prosperi e Signorelli. Era facile capirsi, parlavamo tutti il dialetto. Adesso è un miscuglio di lingue…”.


Il Lugano di Mansueto 
Il Lugano di oggi? “Premetto che è dal 1997 che non lo seguo più. Vi giocano troppi stranieri. Non c’è più l’attaccamento ai colori”. Lo stadio piange: “Come fai ad affezionarti a dei giocatori che vanno e vengono? Basta vedere il pubblico che ha la squadra (è ai vertici della classifica!)”.


Ernesto dà questa spiegazione alla disaffezione: “A parte Bottani non c’è ombra di un altro ticinese. Con un numero maggiore di elementi nostrani sicuramente potremmo avere qualche migliaio di spettatori in più”. La sua era un’altra epoca, citiamo, a caso, una formazione degli anni Sessanta, stagione 1968/69. Quella di un derby a Cornaredo con il Bellinzona, 4-0, 15 mila spettatori (!): Prosperi, Blumer, Indemini, Signorelli, Pullica, Coduri, Brenna,Rovatti, Simonetti, Luttrop, Holenstein. Una squadra che oggi non è più neanche quella dei Morf, Colombo, Manfreda, Pelosi: “Mi domando come mai non ci sia un giovane di Lugano, Bellinzona, Mendrisio, Locarno o di Chiasso in grado di giocare in Super League. Per di più abbiamo una Under che costa parecchio: dove vanno a finire tutti questi ragazzi?”.


Un Lugano, apparentemente, alla continua ricerca di una sua identità: “Succede che adesso andiamo a prendere giocatori all’estero che valgono meno dei nostri e ricevono una ‘branca’ di soldi…”. Il discorso va ‘generalizzato’. Anche il Bellinzona, che naviga sul fondo della classifica di Challenge League (malgrado i reiterati proclami ‘ufficiali’ al via del campionato), è stato abbandonato dai suoi fedelissimi. Alle partite ci vanno a malapena 600-800 tifosi: “ Mi ricordo che faceva più pubblico in Prima Lega, addirittura quando giocava in Seconda. Anche i granata devono avere un problema d’identità”.
Come rimediare? “ Occorre semplicemente cambiare mentalità”.


Gli amici scomparsi
Insistiamo sul Lugano. I tempi che abbiamo citato della ‘squadra simpatia’ dai toni nostrani sono decisamente lontani: “È qualcosa di molto triste. Anche perché alcuni dei miei compagni purtroppo non ci sono più. L’ultimo a lasciarci è stato Simonetti”.

 La ‘lista’ si è ristretta: “Siamo rimasti in cinque o sei (il suo viso si rabbuia, ndr). Noi ex veterani ci troviamo per un pranzo una volta al mese di venerdì: una piacevole abitudine era anche quella di venire al ‘Penalty’ di Daro. Ci andavo con Dario Terzaghi. Nene Zurmühle, un vero signore, per l’occasione invitava anche Permunian, Bionda, Guidotti e altri giocatori dell’ACB”.


Ernesto guarda comunque con soddisfazione alla panchina affidata a due ticinesi doc (Croci Torti e Ortelli): “Anche loro sono però legati al club. I giocatori sono tutti stranieri o della Svizzera interna. A parte, lo ripeto, Bottani che tuttavia gioca una partita sì e dieci no. C’è da ridere!”.
Il ‘matrimonio’ americano? “Beh, sono arrivati i soldi…”. 

Angelo Renzetti? “Meglio lasciar perdere”. Il miglior presidente? “Cecchino Malfanti, è stato vicino alla squadra con ineguagliabile passione dirigendo la società con grande slancio”. Camillo Ferrari? “Ha dato tanto anche lui”. Helios Jermini? “Una brava persona che purtroppo è finita malamente”.


A dirigere l’‘orchestra’ del Lugano era stato chiamato, nel 1966, Louis Maurer che aveva fatto grande lo Zurigo di Edy Nägeli: “Il suo arrivo a Cornaredo ha trasformato l’ambiente. Ha dato personalità ed efficienza alla squadra cambiando il metodo degli allenamenti. Per noi giocatori Maurer è stato un esempio di grande professionalità, di vero attaccamento al lavoro”. Se il Lugano oggi ha cambiato rotta è grazie a Croci Torti: “Sono d’accordo, ‘Crus’ non si è rivelato per niente un ‘ripiego’ (lo si era prospettato dopo l’esonero di Abel Braga, ndr). Lavora con efficacia e determinazione, è benvoluto dai giocatori. Ha la fortuna di avere accanto Cao Ortelli che è un dispensatore di preziosi consigli, sempre rispettoso dell’autonomia decisionale del mister”.


Un percorso di sacrifici
Ernesto, che tutti conoscevano e conoscono tutt’oggi con il soprannome ‘scheggia’ (“ Forse per quel suo viso perennemente affilato” – aveva scritto un collega) è orgoglioso del suo percorso fatto di fatica e sacrifici: “Sono felice di me stesso e della mia carriera”.


Non sbagliamo dicendo che è stato il prototipo dell’umiltà. Al Wankdorf, quel 15 aprile del 1968 (c’eravamo anche noi) furono in tanti a ‘fotografare’ la gioia immensa esplosa nell’animo di un giocatore tranquillo e modesto (magari sin troppo…). Una scena che è entrata di diritto nei ricordi più belli di una tifoseria che aveva partecipato in gran numero alla trionfale trasferta nella capitale federale.
Oggi, sulle rive del Ceresio, con il nuovo Polo sportivo dietro l’angolo, si spera in un ritorno di pubblico in vista, magari, del Lugano campione svizzero: “Restiamo con i piedi per terra, sarebbe già bello vedere un Lugano quarto o quinto con la maggior parte di giocatori ticinesi”.


Difensore arcigno, era difficile per gli Allemann (YB), i Pottier (Servette), Künzli (Zurigo), Jeandupeux (Chauxde- Fonds), Konietzka (Winterthur), Sundermann (Basilea) e Frigerio (Bellinzona) passare dalle sue parti: “Una volta il terzino faceva il ‘terzino’, arrivava al massimo a metà campo, poi rientrava. Guai passare la trequarti!”. Gli è comunque riuscito di ‘scaraventare’ in porta un pallone: “Fu contro lo Zurigo, avevo visto il loro portiere fuori dai pali, ho segnato da quasi metà campo. Un gol per sbaglio… (ride)”.


In chiusura di questa amabile chiacchierata ‘scheggia’ (“ Mi riconoscono ancora con questo nome, quando mi vedono per la strada o entro in qualche bar”) ci racconta un aneddoto: “Quando vincemmo il campionato della Under 16, il Lugano ci portò a vedere il Milan alla sua prima gara in notturna in un San Siro gremito in ogni ordine di posti, contro la Honved di Puskas. Per noi ragazzi si trattò di un’emozione indescrivibile. In rossonero giocava Schiaffino, da qui nacque la mia simpatia per il Milan di cui sono tuttora un tifoso moderato”.

ENRICO LAFRANCHI

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