A differenza della rassegna del 1960, quella che si svolge in terra spagnola risulta tuttavia più interessante ed avvincente. La presenza di grandi campioni quali Suarez o Yashin sono sufficienti per entusiasmare gli animi di un pubblico caldo ed attaccatissimo al futbol. Intanto però fra le Furie rosse (la selezione locale) “infuria” la polemica.
Nei giorni precedenti la fase finale, in casa iberica soffia il vento della discordia. Il commissario tecnico Villalonga ha infatti deciso di lasciare a casa tre giocatori del Real Madrid. E che giocatori! Di Stefano, Puskas e Gento. I giornali della Capitale gridano allo scandalo chiedendo la testa del selezionatore il quale, però, tira dritto per la sua strada.
All’estetica concede soltanto Suarez e Amancio, per il resto squadra muscolare e tutta la grinta. Ecco il Villalonga pensiero: per vincere l’Europeo non basta la classe dei singoli. Nota bene: in quel momento Di Stefano e Puskas erano i migliori giocatori al mondo! Onore al coraggio e all’azzardo del CT, che alla fine avrà ragione. Insomma: la rivoluzionata Spagna affronta il proprio torneo accompagnata dai dubbi e dalle perplessita. Ma in suo aiuto arriva il regime che, detto per inciso, vede di buon occhio l’esclusione di Di Stefano e Puskas, cittadini spagnoli acquisiti e non di nascita.
Alla fase finale accedono la Spagna, la Danimarca, l’Unione Sovietica e l’Ungheria. Nei turni precedenti sono state eliminate Italia, Inghilterra, Francia e Jugoslavia. Dal canto suo la Germania Occidentale ha deciso di non partecipare alla rassegna continentale: una scelta dettata dal fatto che i massimi dirigenti federali preferiscono concentrarsi sul Mondiale. Mah… Comunque: i detentori del titolo sono i sovietici, che al quadrangolare finale si presentano nel ruolo di favoriti. A parte la presenza del portiere più forte al mondo (Lev Yashin) la squadra fa del collettivo la sua vera arma. Non è dunque un caso che in semifinale la Danimarca funga da vittima sacrificale. A Barcellona i danesi alla pausa sono sotto 2-0 (reti di Voronin e Ponedelnik). Nulla da fare, troppa la differenza in campo.
La Spagna, per contro, conquista la finalissima dopo i tempi supplementari: un percorso ben più tortuoso rispetto ai sovietici. Ma l’Ungheria può mangiarsi le mani per le diverse occasioni sprecate: il portiere basco Iribar ci mette più volte una pezza fermando le incursioni dei fuoriclasse magiari. Albert e Tichy. Încredibile ma vero! A decidere la sfida è dunque Amancio, e contro l’andamento del gioco.
Così sarà Spagna-URRS: una rivalità acerrima, e non solo calcistica, divide le due nazioni, che si guardano in cagnesco per ragioni politiche. In campo, però, i sovietici non hanno più lo smalto e l’organizzazione ammirata contro la Danimarca. Anzi, sembrano imbolsiti. Incassano una rete all’inizio da Pereda, poi quasi subito recuperano con Khusainov; reggono 45 minuti ma nel finale vengono castigati da Marcelino. L’afa, il gran caldo, ha fatto la differenza? Sembrerebbe così. Successo comunque meritato ed ispirato da Luis Suarez, centrocampista elegante e determinato che nel 1964 ottiene una doppia vittoria: Coppa dei Campioni con l’Inter, e Europeo con la Spagna. E l’opinione pubblica, che ha disapprovato l’esclusione di Puskas, Di Stefano Gento e del Sol, deve ricredersi. È, anche, una vittoria del dittatore Franco, che trova un ulteriore spunto per esaltare una presunta superiorità politica nazionale. Già ma questa è un’altra (triste) storia.
JACK PRAN