Sport, 26 marzo 2024

Il coach del Messico Suarez: “A lezione da Larry Huras”

Hockey: il nostro viaggio nei Mondiali delle categorie cosiddette minori

LUGANO - Continua il nostro viaggio nel mondo dei Mondiali di hockey delle categorie più basse e mediaticamente poco interessanti (eufemismo). Questa volta il nostro collaboratore Luigi Badone è stato nel Kyrgyzstan per seguire la rassegna iridata della Division III A , che si è svolta a Bishkek, capitale dell’ex paese “satellite” dell’Unione Sovietica. Nella circostanza il nostro reporter è andato alla scoperta del Messico, squadra partecipante alla rassegna, una nazione che non ha molto a che fare con la pratica hockeistica, vista anche la sua conformazione geografica. Ne ha parlato con Larry Suarez, allenatore capo. Il 60enne Larry Suarez, nativo di Chicago, dopo avere terminato la carriera da giocatore ha intrapreso l’attività di tecnico a cavallo tra la seconda e la terza categoria in Germania. Attualmente lavora in Olanda, dove dirige gli Eindhoven Kemphanen con cui ha trionfato in campionato la scorsa stagione.


Larry Suarez: come è nata l’opportunità di diventare head coach del Messico? 
E’ abbastanza divertente: ho conosciuto il presidente ad un simposio 18 anni fa e gli ho detto, per gioco, che avrei voluto allenare il Messico un giorno. Poi 4 anni fa sono stato chiamato ma purtroppo il torneo iridato fu cancellato a causa del Covid; quindi si è dovuto rimandare. Poi circa un mese fa sono stato ricontattato; ma ero ai playoff con l’Eindhoven e quindi ho chiesto alla dirigenza di aspettare. Circa una settimana dopo la fine del massimo campionato oiandese ho potuto accordarmi con i messicani. Non ho mai incontrato i giocatori prima del torneo mondiale; il mio primo contatto è stato il giorno prima dell’esordio per un allenamento. Non conoscevo nessuno degli atleti e non ho fatto io la selezione. Per un allenatore è davvero frustrante vivere una situazione del genere e non sapevo cosa aspettarmi. Avevo davvero solamente informazioni minime, è stata dura.


Cosa ci puoi dire di questo torneo a cui ha partecipato la sua nuova squadra? 
E’ una domanda difficile: ero nello staff dell’Olanda anni fa ed il livello era differente. Come sempre l’obiettivo è vincere più partite possibili ma poi ci si scontra con la realtà. Sono tornei molto corti. La nostra squadra è giovanissima, basti pensare che abbiamo tre fratelli Valencia tutti giovanissimi, che giocano nello stesso blocco offensivo. Il presidente ha preso una decisione importante per un cambio generazionale. Purtroppo ci siamo presentati al torneo iridato con alcune importanti defezioni. 


Scusi ma in Messico l’hockey è conosciuto?
Non sono la persona più adatta per rispondere, il presidente potrà meglio spiegare. Comunque posso assicurlarle che stanno lavorando veramente duro per crescere. Fino a pochi anni fa non avevano una Lega, poi ne è stata creata una ma con solo 4 società che giocano tutte a Città del Messico. La maggior parte dei giocatori arriva da questa regione. Il lavoro da fare è ancora molto. Il problema principale sono i costi proibitivi di questo sport per la maggior parte delle famiglie. 


Non scontato, in un paese perennemente confrontato con le sue contraddizioni politico-sociale. 
Anche se il Messico purtroppo si è
costruito una reputazione che non merita, come ogni nazione c’è il buono e il cattivo. Io vedo dei ragazzi felici e orgogliosi. Spesso la TV mostra solamente il lato negativo. 


La maggior parte del suo tempo lei la passa in Olanda e quindi ha la possibilità di seguire il campionato svizzero. 
Certo! Ho svolto gran parte della mia carriera in Germania quindi ho seguito e seguo con particolare attenzione Austria e Svizzera. La vostra massima lega è una delle migliori al mondo e per ogni addetto ai lavori è alquanto stimolante e interessante seguirla. 


Tornando al vostro Mondiale e al Messico: a che livello si possono situare le nazionali partecipanti
Onestamente non è facile fare paragoni. Per me la miglior squadra, ossia i padroni di casa del Kyrgyzstan, potrebbe giocare al massimo in una Seconda Lega tedesca o elvetica. Ma ho la sensazione che farebbe fatica a mantenere la categoria. Ricordiamo sempre che questi Mondiali servono anche per la formazione e per la crescita di nazioni decisamente deboli dal punto di vista tecnico, sportivo e strutturale. 


Quindi, possiamo affermare che questi campionati sono importanti per far maturare queste nazioni hockeisticamente di quarta o quinta fascia? 
E’ un lavoro in prospettiva. Attrarre i bambini per iniziare a fare sport e poi raccogliere i frutti in futuro. Il problema dell’hockey è sempre lo stesso, è uno sport troppo costoso, quindi il bacino d’utenza è minore.
Sono necessarie sempre di più persone con la passione per permettere un percorso di crescita costante ad ogni livello. Purtroppo le finanze sono decisive e se non si dispone di capitali, la crescita diventa complicata e difficile. Per queste squadre sarebbe importante anche avere dei campi di allenamento in modo continuo. Ma non è facile. 


Lei fra l’altro è molto amico di Larry Huras, tecnico molto “famoso” dalle nostri parti. 
Mi piace moltissimo parlare di hockey con il tecnico canadese: so che per voi è una specie di eroe. Anche per me è così. E’ uno dei miei più grandi maestri ed ho il massimo del rispetto per lui, è un uomo che non si può discutere; un eccellente allenatore ed il suo modo di leggere e preparare le partite è incredibile. Vorrei sottolineare il suo lato umano. Malgrado sia famoso e vincente, è sempre disponibile e rispettoso.


Dove lo ha conosciuto?
Ci siamo conosciuti tanto tempo fa tramite amici in comune e avendo interessi simili ci siamo subito trovati. Mi è stato presentato da Greg Poss (ex allenatore della nazionale tedesca) e così è nata la nostra amicizia. Io ero un giovane allenatore ed ero curioso di imparare tutto e Larry è sempre stato disponibile con chiunque. Per questo motivo siamo diventati amici. 


Le ha mai parlato del Ticino?
Sì, qualche volta abbiamo parlato ma non ricordo specificatamente nessun aneddoto particolare. Larry amava allenare in Svizzera ed amava il Ticino. Il periodo di Ambrì e Lugano lo ricorda come entusiasmante e ricco dal profilo umano.

LUIGI BADONE

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