LUGANO – Forse, ripensando ai 10 anni vissuti sotto la guida di Patrick Fischer, ci sarà chi ripenserà “solo” alle tre medaglie d’argento mondiali conquistate, cosa che sembrava davvero impossibile – tra l’altro – quando il neo 50enne venne nominato head coach della Nazionale poche settimane dopo l’allontanamento dalla panchina del Lugano. In realtà il primo appuntamento iridato della Svizzera guidata da Fischer fu un disastro: eliminazione ai gironi nel Mondiale di Mosca e San Pietroburgo e tanti saluti a tutti. Ma da quel momento in poi, tutto è cambiato.
Certo, Patrick Fischer ha avuto la fortuna di poter allenare una Nazionale piena zeppa, come non mai, di giocatori che in NHL sono ormai leader indiscussi delle proprie franchigie, ma il merito di poterli avere a disposizione al momento di ogni chiamata è stata proprio dell’head coach che, nel corso degli anni, ha imbastito e mantenuto legami forti, stretti, quasi da padre a figlio, verso quei giocatori che arrivando da oltre Oceano hanno sempre dato un contributo essenziale alla Svizzera.
L’ex allenatore del Lugano poi, anche grazie ai rapporti ottimi con la Federazione, ha potuto lavorare su più fattori, facendo crescere anche le nazionali minori con la stessa idea di hockey della nazionale maggiore, potendo così sempre contare su giocatori pronti, motivati, ben consci di cosa avrebbero dovuto fare una volta arrivati alla sua corte. Fischer è stato bravo ad allargare la base da cui pescare, portando in Nazionale tantissimi giocatori, facendoli sentire parte del gruppo, anche quando – prima di ogni Mondiale o Olimpiade – ha dovuto effettuare delle scelte, dei tagli, lasciandone a casa diversi. Ma in questi 10 anni non si è mai sentito un mugugno, mai un lamento, anche quando le cose non andavano esattamente nel verso giusto.
Certo, quelle tre medaglie d’argento, se da una parte riempiono d’orgoglio, dall’altra fanno ancora male. La sconfitta ai rigori con la Svezia nel 2018 brucia da far paura, il KO contro la Cechia nel 2024 è come uno spillo nella pelle, lo stop nell’atto conclusivo del 2025 contro gli USA “fa male”, come dice sempre lo stesso Fischer, ma ora l’head coach prima di salutare ha ancora due occasioni per poter finalmente sorridere: l’Olimpiade di Milano-Cortina (anche solo per cancellare le due pessime Olimpiadi disputate dalla Nazionale sotto la sua gestione) e, soprattutto, il Mondiale in casa di maggio.
La pressione di giocare davanti al proprio pubblico, si sa, potrebbe essere un bene ma anche un male, ma la cosa incredibile del lavoro fatto da Patrick Fischer sta proprio in questo: siamo qui a pensare a maggio, al Mondiale, con l’obiettivo di vincerlo, perché Fischer ci ha portati sull’Olimpo dell’hockey mondiale con la possibilità di guardare negli occhi nei nostri rivali, annusando il loro timore nei nostri confronti. Tutto questo dovrà essere coltivato e migliorato da Jan Cadieux e, ovviamente, non sarà facile.





