Sport, 15 gennaio 2024

Messico 1970, Beckenbauer simbolo della sofferenza

Gianni Rivera ricorda il tedesco, protagonista con il braccio legato della partita del secolo

LUGANO - Gianni Rivera, vice-campione del mondo nel 1970, vincitore della Coppa dei Campioni 1969 e di diversi titoli nazionali (Coppe e campionati), nonché Pallone d’oro nel 1969 con la maglia del Milan, ricorda con affetto il grande Franz Beckenbauer, scomparso nei giorni scorsi. La sua testimonianza, apparsa sui giornali e sui siti di mezzo mondo, merita di essere letta ed... ascoltata. Sentiamo l’ex rossonero: “Ho conosciuto il Kaiser ai Mondiali messicani del 1970 ma anche in altre circostanze, durante ricevimenti e galà sportivi. Una persona distinta, di poche parole ed elegante. Mi ha sempre colpito la sua modestia. Nel mondo calcistico attuale, personaggi come lui non ce ne sono più...Il calcio gli deve molto. È stato con Pelè uno dei migliori della mia epoca, lo ricordo con affetto e tristezza ora che ci ha lasciati”.


Come lo definirebbe tecnicamente?
Avanti anni luce rispetto a tutti gli altri giocatori del suo tempo. Si muoveva con grande classe, testa alta, pallone sempre fra i piedi. Avanzava e impostava. Diciamo che era unico e inimitabile. Grazie al suo gioco, la Germania compì grandi progressi a livello tecnico: i tedeschi risollevarono la testa dopo tanti anni di cocenti delusioni. Per fortuna, dopo il 1970… 


Quando l’Italia vinse contro i tedeschi la partita del secolo.
Esatto. Ma quella non fu una sconfitta per la Germania, le due nazionali uscirono dal campo consapevoli di aver regalato, nell’epoca della TV in bianco e nero e dei collegamenti in diretta improbabili, ai tifosi una giornata memorabile. E Franz fu uno dei grandi protagonisti. Lo ricordo arrabbiatissimo dopo il mio gol decisivo ai tempi supplementari (il 4-3, ndr). Mancavano dieci minuti al fischio finale!


/> Franz giocò menomato…
Si infortunò in un contrasto di gioco con il nostro Cera ma decise ugualmente di restare in campo, anche perché si poteva sostituire, credo, solo un giocatore. A Beckenbauer fu applicata una fascia elastica al braccio e malgrado ciò continuò a giocare, come se nulla fosse. Aveva male, eppure era lì a dettare il gioco della sua squadra. Lui che poteva giocare da libero o da centrocampista. E sapeva pure attaccare quando necessario. Insomma: per quei tempi era un giocatore universale.


Una partita che segnò anche la definitiva consacrazione del giovane tedesco.
Era il nostro momento, quello. Io avevo appena vinto il Pallone d’oro e la Coppa dei Campioni, lui stava per diventare uno dei più grandi del pianeta. Non a caso nel 1972 e nel 1976 vinse lo speciale trofeo francese. Un grande campione, nato in un paese che doveva superare i traumi di una terribile dittatura e di una terribile guerra. Forgiò il suo spirito nella sofferenza e quando arrivò al calcio mise a disposizione il talento ma anche la lealtà e la disciplina. In campo era uno che si faceva rispettare, d’altra parte lo sappiamo che tedeschi sono durissimi ma corretti. Non ne ho mai visto uno diverso. E Beckenbauer ha lasciato il segno anche in questo.


Alla fine di Italia-Germania del 1970, vi abbracciaste.
Di quell’abbraccio è rimasta una bella foto in bianco e nero e a colori. Sono orgoglioso di esserci stato e di aver trovato sulla mia strada un personaggio come lui. Ci siamo complimentati a vicenda, ed abbiamo pensato, almeno credo, che quel giorno avevamo regalato al mondo qualcosa di veramente speciale. Irripetibile.

JACK PRAN

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