Gli argentini del Boca Juniors dovranno comunque diffidare: anche se l’atmosfera è cambiata, si batteranno nella tana dei loro rivali finalisti, il Fluminense, storicamente la seconda squadra di Rio dietro al Flamengo, che nacque proprio da una scissione interna al Flu. Per la cronaca: la Copa Libertadores, che non vale certo la Champions League, è il torneo più antico del mondo a livello di club.
Da sempre, questa rassegna è fra le più violente e polemiche della storia del calcio. La rivalità fra i vari paesi, ma soprattutto fra i nove “fratelli” (o hermanos, come li chiamano laggiù) e il Brasile, unico paese in cui non si parla lo spagnolo, ha generato sfide cattive e rognose: “Quando giocammo in Argentina contro il River Plate la semifinale del 1998 – ricorda Mauro Galvao – ci accolsero come si accoglie un esercito nemico. In campo non mancarono insulti, sputi e colpi proibiti. Ma questa è una caratteristica di quel torneo, come del resto quello delle qualificazioni ai campionati del mondo”.
Stavolta però sarà il Boca ad affrontare una clima ostile, anche se in Brasile in passato raramente ci sono stati episodi di violenza. “Nessun paragone con quanto succede in Argentina, in Cile o in Uruguay, tanto per fare degli esempi – ci dice Gian Oddi, giornalista brasiliano dell’emittente TV ESPN, che sta ultimando un libro sulla vita dell’ex granata Mario Sergio – In Brasile non si sono mai viste scene di inaudita violenza o intolleranza come in altre nazioni sudamericane”.
Il Boca Juniors, diretto dall’ex giocatore Jorge Almiron, ha vinto sei coppe Libertadores e punta ad eguagliare il record dei concittadini e connazionali dell’Independiente. I bonaerensi sono giunti alla finalissima senza vincere una sola partita nei tempi regolamentari (dagli ottavi di finale in poi). Si sono sempre imposti ai calci di rigore, grazie alle parate del loro portiere, l’ex nazionale Sergio Romero, bravo ad irretire i tiratori di Nacional Montevideo, Racing Avellaneda e Palmeiras. Insomma: una qualificazione un po’ particolare, che ricorda quella dell’Argentina di Diego Armando Maradona ai Mondiali del 1990 in Italia. Ricordate? Senza troppi meriti la squadra diretta da Carlos Bilardo arrivò in finale grazie, appunto, ai penalty (quarti di finale e semifinale).
Per il Fluminense, nel quale giocano vecchie cariatidi quali Marcelo e Felipe Melo, è la seconda finale. Nel 2008, da strafavorito, fu sconfitto ai rigori dalla Liga Deportiva Universitaria de Quito (unico successo ecuadoregno). E la sconfitta venne sancita nel vecchio Maracanã, fra la comprensibile disperazione e delusione dei tifosi carioca. Stavolta però gli affezionati “torcedores” confidano nella vittoria: e per far questo sperano che il bomber Guillermo Cano, un argentino!, confermi lo status di attaccante numero 1 del torneo (12 reti all’ attivo). Non sarà facile, perché il Boca gioca un calcio rognoso, pragmatico e poco spettacolare.
JACK PRAN