Opinioni, 04 settembre 2023

Migrazione: "Non facciamo la brutta fine della rana di Fedro

Tribuna del "politicamente scorretto" di Giorgio Grandini

La Svizzera della “molteplicità” rappresenta un modo di essere, di vivere la convivenza sociale… ammirato e in parte invidiato in tutto il mondo!
Nella tradizione politica elvetica l’espressione di un’idea, di una convinzione o di un’opinione è parte imprescindibile della natura stessa dello Stato.
La poliedricità di iniziative e pareri viene infatti convogliata in un processo politico di fusione e selezione, alfine di raggiungere quel compromesso pacifico (concordanza) che sorprendentemente riesce, bene o male, ad accontentare tutti.
 
Se Germania, Inghilterra e Stati Uniti registrano una popolazione straniera (residenti nati all’estero) del 15%, la Svizzera raggiunge il 30%.
Non c’è quindi da meravigliarsi se - da quando sono nato, all’inizio degli anni ’50, ad oggi - la popolazione nel nostro Paese è aumentata del 100%.
Certo, non siamo al livello di micro-stati (piazze finanziarie) come il Lussemburgo, il Principato di Monaco (50%), o addirittura l’Arabia Saudita (90%); ma queste sono realtà istituzionali che hanno natura e qualità completamente differenti. Il confronto va semmai fatto con nazioni limitrofe a noi più simili e dimostra come siamo confrontati a dati ragguardevoli, se non addirittura sproporzionati.

 
La tendenza in generale, come ho già avuto modo di scrivere in altre Tribune, è chiaramente all’aumento esponenziale. Nel 2022 l’immigrazione (residenti permanenti provenienti da UE e Stati Terzi, in base agli accordi di Schengen) ha registrato, al netto di entrate e uscite, la cifra di 81'000, che corrisponde circa ad un aumento del 25% rispetto all’anno precedente.  A ciò si devono aggiungere i 380'000 frontalieri che ogni giorno entrano in Svizzera (60% dei quali è distribuito tra i Cantoni di Ginevra (27%), Ticino (20%) e Vaud (11%)). Il Ticino rimane comunque il Cantone con la proporzione più alta di frontalieri rispetto al numero totale dei lavoratori (32,6%).
Sempre nello stesso anno (2022), le statistiche della Segreteria di Stato per l’immigrazione (SEM) evidenziano un aumento di domande di asilo (procedura di Dublino) pari al 64.2% rispetto all’anno precedente (24'511 domande) e per l’anno corrente ne sono previste ancora 27'000.
In totale quindi, alla fine del 2022, le così definite “persone del settore dell’asilo” erano 204'374 (con un aumento del 56% rispetto al 2021), anche per il fatto che si sono conteggiate 62’820 domande di statuto S per cittadini ucraini (oltre ai rifugiati 76'195, alle istanze provvisorie 44'779 e 20'580 tra domande pendenti, casi speciali/altre categorie).
È comunque allarmante notare che - sebbene per il nostro diritto l’asilo dovrebbe essere concesso solo alle persone che fuggono per “persecuzioni o altri danni gravi subiti nel loro Paese” - il sito della SEM attribuisce candidamente l’aumento delle richieste d’asilo all’indebolimento economico e all’aumento dei costi nelle nazioni di provenienza… adottando così una motivazione prettamente di natura economica, ma contraria alla legislazione svizzera in materia!
 
La Svizzera ha sempre guardato, e dovrà farlo anche in futuro, con generosità e interesse all’estero - sia culturalmente che economicamente - e ha accolto con estrema disponibilità la migrazione, anche perché necessita di forza lavoro e di competenze professionali, ma è altresì capace di offrire ospitalità a chi abbisogna di protezione (asilo).
 
Oggi, al cospetto di una simile evoluzione, occorre però “tirare il freno” ed analizzare pure il rovescio della medaglia dello tsunami migratorio causato da una schizzofrenica politica migratoria (che ha completamente perso l’orientamento).
La politica federale dovrebbe cioè finalmente sapersi interrogare sulle conseguenze di natura socio-economica che l’aumento della popolazione provoca nel nostro Paese; per esempio il sottodimensionamento delle infrastrutture esistenti: penuria di alloggi, strade intasate e mezzi di trasporto inadeguati, scuola (aule e docenti) sotto stress, sistema sanitario (medici, ospedali, cure) sottodimensionati, carceri (celle) insufficienti, contrazione dell’offerta di posti di lavoro per residenti.
Detti disagi generano perniciose ripercussioni sociali: aumento delle pigioni, paralisi nella circolazione e nei trasporti, carenza di docenti e livellamento dell’insegnamento scolastico, esplosione dei premi delle casse malati, sovraffollamento delle carceri, crescente dissocupazione e dumping salariale.
 
Contraccolpo esplosivo a tali inquietudini sono fatalmente la messa in crisi del principio della pace sociale, l’aumento dei sentimenti xenofobi (soldi solo per gli stranierti...?), rigonfiamento dell’apparato statale (sempre più tecnocratico, di controllo e avvulso dal sentire dei cittadini).
È evidente che siamo a rischio di “collasso sociale”, con tutte le conseguenze del caso. Dobbiamo pertanto, nolenti o volenti, inserire la retromarcia, se vogliamo evitare di fare la fine della rana nella favola di Fedro (che, per diventare grande come il bue, si è gonfiata al punto da scoppiare). Non avendo poi il Consiglio Federale la bacchetta magica della Fata Smemorina (che per Cenerentola seppe trasformare la zucca in una carrozza regale), occorre che il Sovrano (gli elettori) usi il voto per mandare a Berna dei parlamentari che hanno il coraggio di impiegare anche il bastone e non solo la carota (non bisogna infatti sempre inchinarsi supinamente alle bramosie della fallita UE!).

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