MILANO (Italia) – Le tracce della nube tossica dell’incidente di Chernobyl stanno affiorando sempre di più nella gigantesca carota di ghiaccio che è stata prelevata dall’Adamello. Gli scienziati le hanno trovate lì, nella parte più alta del ghiacciaio, in uno degli strati più vicini alla superficie. “Ci siamo mangiati 30 anni di ghiacciaio”, ha spiegato Valter Maggi, capo dei ricercatori che stanno analizzando la qualità dell’enorme ghiacciaio alpino. Lui e i suoi ricercatori hanno trivellato e portato a galla un blocco gelato di 225 metri per studiarlo nel regno a -50 °C sotto l’università milanese della Bicocca.
I ghiacciai, è risaputo, mantengono vivi i segreti del clima e della storia dell’uomo, grazie alla neve che congela le informazioni presenti nell’atmosfera. Lì è conservata un’enciclopedia del clima che viene a galla man mano che la neve si scioglie. “Il ghiacciaio è un libro senza numeri di pagina, ogni tanto ne spunta uno”, ha continuato Maggi. All’interno della carota prelevata, ad esempio, sono state trovate tracce di eruzioni vulcaniche, di incendi, di inquinamento e, a una profondità di 66 metri, tracce che sono chiaramente riconducibili alla Prima guerra mondiale.
Tra tutte queste informazioni, c’è quella che davvero preoccupa gli scienziati in merito allo scioglimento dei ghiacciai. “Chi cammina sull’Adamello lo fa su un ghiaccio degli anni Ottanta”. Nella parta più alta del maxi campione di ghiaccio, infatti, gli scienziati hanno trovato il Cesio, “un isotropo radioattivo, tipico segnale che identifica l’azione dell’uomo, perché si forma all’interno dei reattori nucleari o delle esplosioni termonucleari”. Segni inequivocabili, insomma, del disastro di Chernobyl, che essendo vicinissimi alla superficie mettono tutti in guardia: il ghiacciaio sta perdendo massa e volume, fondendosi con una velocità tale che “se andiamo avanti così, presto cammineremo su un ghiaccio degli anni ‘60”.