Sport, 29 settembre 2022

“Anni ‘60, grandi passioni. Sono felice di esserci stato”

Nostra intervista ad Adriano Coduri, capitano del Lugano di Louis Maurer

LUGANO - La moglie Orietta, fedele compagna di sempre, si raccomanda: “Adriano si è appena ripreso da un malanno, non lo faccia parlare troppo”. Va da sé che intervistare il capitano del Grande Lugano è sempre un piacere, sia dal punto professionale che umano. L’ex bianconero (85 anni) vive sempre a Rancate, il villaggio in cui è cresciuto e che oggi ha perso lo status di comune, visto che è entrato a far parte della grande Mendrisio. Con il passare del tempo il buon Nano ha lasciato un po' da parte il calcio e lo sport in generale, anche se è rimasto tifoso del Lugano e lo scorso mese di maggio, dopo la vittoria in Coppa Svizzera, ha festeggiato: “Perche quando vincono i bianconeri, io sono sempre felice” ci dice al telefono. Una gioia immensa, un po' come accadeva nei meravigliosi Anni Sessanta, durante i quali il club ceresiano metteva in riga squadre come Basilea, Grasshopper e Zurigo.


“Ho vissuto grandi passioni, e sono felice di esserci stato. Altro mondo, altro calcio, altro tutto: ma non cambierei mai quell’epoca con quella odierna”, afferma Coduri, professione tipografo e calciatore part time. “Allora ci si allenava due o tre volte la settimana e la domenica si giocava. Il mestiere di calciatore non esisteva ancora”, chiosa.


Coduri: da dove partiamo?
Da un periodo memorabile e che non tornerà più. E non lo dico solo perché sono vecchio (ride) ma anche perché il calcio di oggi ha perso la spontaneità di quei tempi. Forse perché c'era solo quello o poco altro, e allora la gente andava a Cornaredo per stare insieme e vedere un gruppo di atleti locali battersi contro gli svizzero-tedeschi e i romandi. Altra era? Certo, ma gli stadi erano pieni. Oggi sono vuoti, il calcio è diventato business. E poi...


Prego…
Le nostre squadre erano formate nella stragrande maggioranza da elementi locali e la gente si identificava nei propri giocatori. Li conosceva uno per uno. Anche senza il nome scritto dietro la maglia. E aggiungo altro: la televisione ha ucciso lo sport. I tifosi, sbagliando, preferiscono starsene in poltrona o in divano. Il mondo è cambiato e ora ci sono nuovi interessi ad accendere i giovani. 



Tornando al grande Lugano.
Una società costruita con passione e competenza dal presidentissimo Francesco Malfanti. Un uomo tutto di un pezzo, che voleva bene ai suoi giocatori. Fu lui l’artefice di quei grandi risultati scegliendo Louis Maurer come allenatore e Otto Luttrop come calciatore straniero. Una coppia che ci fece vivere momenti magici.


Com’erano i due?
Esigenti. Con se stessi prima che con gli altri. Due duri, a modo loro. Monsieur, come lo chiamavano, era avanti anni luce rispetto a molti colleghi. Amava i dettagli e non ammetteva che qualcuno sgarrasse. Otto, beh, era semplicemente una potenza calcistica. Quando tirava le punizioni in allenamento ci scansavamo tutti. Aveva un carattere difficile ma era un buono.


Poi il nocciolo duro.
Signorelli, Brenna, Simonetti, Prosperi, il sottoscritto, Indemini. E naturalmente Remo Pullica, compagno di reparto e di mille battaglie. Carattere gentile e bonario. In squadra esisteva un bel mix di potenza, qualità e tecnica. Non a caso ci chiamavano il Grande Lugano. Ciliegina sulla torta la finale di Coppa Svizzera del 1968. Come ho detto varie volte, il più bel ricordo concerne il presidente Malfanti. Quando giunsi in tribuna per ritirare la Coppa dalle mani di Nello Celio, mi diede una carezza e quel gesto per me ancora oggi ha una grande valenza. Anche Cechin si emozionò.


Quella con il Winterthur fu una partita durissima... 
Esatto. Noi partivamo come grandi favoriti, visto che gli zurighesi militavano nel campionato cadetto.Ci misero in difficoltà e solo una grande forza di volontà ci permise di evitare il peggio. Avevamo uno spirito incredibile.


Coduri chiude così.
Di quella squadra sono rimasti ancora alcuni protagonisti. Altri purtroppo non ci sono più. Ma ogni anno, se non ci sono impedimenti, ci ritroviamo a cena per ricordare i tempi andati. Che, aggiungiamo noi, attiravano a Cornaredo anche 18-20 mila spettatori. Chi non ci crede, vada in archivio o sui famigerati motori di ricerca.

A.M.

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