Sport, 24 maggio 2022

Mattia Croci Torti, un condottiero sognatore

Lugano, la quarta Coppa Svizzera della storia ha un nome e un cognome

LUGANO - Le parole di Mattia Croci Torti, le sue lacrime e i suoi gesti plateali hanno emozionato tutto il Cantone. Non tutto, in realtà, perché i soliti e immancabili gufi domenica scorsa sono andati a letto con la coda fra le gambe. Dire che a Berna è stato ucciso il campanilismo, come ha scritto qualcuno incautamente e senza cognizione di causa, è sbagliato: i quartierismi e le fazioni (Guelfi e Ghibellini) esisteranno sempre e in fondo – sembra brutto dirlo – fanno parte della storia e della cultura sportiva del Ticino. Alla fine, però, contano solo i diecimila che hanno invaso la capitale federale, con i loro cori, i loro colori e le loro speranze: giovani, donne, uomini di ogni età, veterani che avevano già visto la finale del 1968 e che hanno pianto quando Sabbatini ha sollevato la Coppa al cielo. Alla fine, poi, tutti a magnificare le gesta di una squadra e soprattutto di un condottiero venuto dal nulla e nel quale in pochi credevano. E coloro che dubitavano delle sue capacità sono gli stessi che oggi lo elogiano e lo decantano e sono stati lestissimi a salire sul carro del vincitore.


La storia non cambia mai, vien voglia di dire. Intanto però Cavallo pazzo (Croci Torti) ha vinto la battaglia del Little Big Horn (la finale di Berna): contro ogni pronostico, Mister nobody, vacallese figlio di una famiglia di calciatori, ha dimostrato che nulla è impossibile: coraggio, conoscenza della materia (ma soprattutto degli uomini), leadership e, importantissimo, umanità, che non può mancare mai. E Mattia in questo è imbattibile. Di lui non scorderemo mai quella frase pronunciata durante un’intervista pubblicata dal 'Mattino della Domenica', quando giocava ancora nel Chiasso: “Non ho mai negato un sorriso a nessuno”. Parole scolpite nella memoria, che la dicono lunga sul personaggio: tenace,
generoso, simpatico, tipico prodotto di una terra, quella momò, aperta al mondo e ricca di fantasia. Calciatore non eccezionale (ma il migliore quando si trattava di tirare la carretta), ha servito sotto diversi allenatori, ai quali ha rubato da gran curioso il mestiere, citiamo Zambrotta, Schällibaum, Komornicki, Celestini e per pochi mesi anche Abel Braga.


Una continua ricerca di nozioni, tecniche e tattiche, con un occhio attento ai rapporti con i giocatori, grazie ai quali, se positivi, si costruiscono i grandi successi. E quello di Berna è stato un grande successo, preparato nei minimi dettagli assieme e in complicità con Cao Ortelli, il Mauro Tassotti ticinese, una vita al fianco dell’indimenticabile Roberto Morinini, da cui ha imparato tutto ciò che c'era da imparare. Un assistente, Cao, molto qualificato: un consigliere prezioso, un luogo tenente che sa tutto di calcio, pacato e capace di tenere a bada il Mister nei momenti di arrabbiatura e di tensione. Una coppia perfetta, insomma; anche se i due principali protagonisti della finale si rendono conto che non sarà facile ripetersi, che mantenere consensi e unanimità sarà una impresa titanica.


Perché quando si vince, quando si torna a casa con una Coppa Svizzera dopo una vita, sono tutti bravi, belli ed eroici. Ma quando le cose diventano difficili (potrà capitare) allora ci sarà qualcuno, immancabilmente, che dopo qualche rovescio chiederà la testa del tecnico. Scommettiamo? Finale con dedica: caro Mattia (e caro Cao) grazie per aver regalato al Lugano e ai suoi tifosi una giornata memorabile e per aver reso possibile un sogno che sino a qualche mese sembrava irrealizzabile. Eroi? No, quelli stanno altrove. Simboli? Sì, di un calcio bianconero (e ticinese) tornato finalmente ai vertici.

RED.

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