*Articolo dal Mattino della Domenica
La disperazione. Perdere tutto. Lasciare la tua nazione perché bombardata. Scappare da quelli che per ora sono gli invasori per la paura di essere stuprate. Questi sono alcuni, dei molteplici, motivi che hanno spinto le donne ucraine a venire anche nel nostro paese. Alcune sono arrivate anche in Ticino. Ospiti di famiglie che hanno aperto loro le porte di casa, oppure momentaneamente ospitate in case che i comuni ticinesi utilizzano per le varie associazioni presenti sul territorio. Qui, in alcuni casi, si è persa anche la dignità, pur di dare un futuro al proprio bambino. Una mamma offrirebbe l’anima al diavolo, quando ha visto l’orrore negli occhi del proprio pargolo. “Ho tentato di offrire il mio corpo ad alcuni uomini che ho incontrato qui in Ticino”, ci dice A. (nome noto alla redazione), profuga ucraina, che parla abbastanza bene inglese.
La fuga in SvizzeraImmaginate: una valigia, un orsacchiotto e uno zaino per il figlio... nulla più. “La nostra casa è stata bombardata. Non abbiamo più niente. Per fortuna siamo partiti subito e non ci trovavamo più all’interno, sennò saremmo morti sotto le bobe russe. Mio marito invece…”. Già, l’uomo di 41 anni, non ce l’ha fatta. I parenti l’hanno avvisata una volta arrivata alla frontiera con la Slovacchia: “Tuo marito è morto. Non siamo riusciti a recuperarlo sotto le macerie del palazzo. Ci dispiace...”, queste le parole che risuonano ancora nella testa della donna che stringe tra e mani la foto del marito. Lì vicino il suo bambino ci sta facendo un disegno. Una vittima che ancora non sa di suo padre, di quello che per lui, nei suoi 8 anni di vita, è stato un eroe, come lo sono tutti i papà per i loro piccoli ometti. “ Siamo arrivati poi in Ticino passando dall’Austria con un pullman che ci ha portati fino in Ticino. Ora, anche se le ferite dell’anima non si possono sistemare, stiamo bene.... o meglio, non abbiamo paura che qualcuno venga a spararci o ci lanci una bomba mentre stiamo dormendo. Chiaro che ora devo rifarmi una vita... in Ucraina non posso tornare, non ho più nulla! Sono disperata, al punto tale che voglio trovare un uomo svizzero che mi tenga con lui... sono disposta a tutto, lo farei per mio figlio”.
Politicamente (s)corretto?
Non sta a noi giudicare. Noi dobbiamo solamente riportare i fatti. E gli occhi che stiamo guardando sono vuoti, come se l’anima della donna con la quale, ora, stiamo sorseggiando un the caldo sia uscita dal suo corpo. Un patto con il diavolo inconsapevolmente cosciente: salvare il proprio unico bene rimasto, il figlio. “Ho già tentato di approcciare alcuni uomini, anche al centro di accoglienza. Ma non ho ricevuto delle risposte positive. Lo so che sto perdendo la mia dignità, ma devo pensare al mio futuro senza farmi troppi problemi”. Lei, laureata in ingegneria, ora si vuole gettare nelle braccia del primo che capita. La guerra è anche questo? Ci poniamo questo quesito, ma non riusciamo a trovarvi risposta. Noi non abbiamo vissuto sulla nostra pelle quello che ha passato A. Più la guardiamo e più pensiamo che gli strascichi di un conflitto non sono solo i morti lasciati per strada, le torture fisiche... ma la mente di una persona spegne il raziocinio per accedere qualcosa di più atavico, di animale, di primordiale: la sopravvivenza. Se il pensiero di A. sia politicamente o eticamente corretto solamente la sua coscienza, con il tempo, trovare una risposta.
“Lo ha chiesto a me”
Mentre stiamo parlando e mostriamo le foto delle rispettive famiglie, si avvicina un uomo, un volontario che si occupa di una nota associazione. “Fai attenzione, questa qui vuole solo “fare l’amore” (edulcoriamo, ndr)”. Facciamo notare che siamo dei giornalisti e stiamo raccogliendo solamente una testimonianza. L’uomo ribatte: “ A me ha chiesto se la portavo a casa, che sarebbe disposta a venire a letto con me anche subito se la lascio stare con me. Ma io sono sposato. Poi, mi sembrerebbe di sfruttarla in un momento di bisogno, ma prima o poi qualcuno lo troverà. Di mortoni ne è pieno il pianeta e non capiscono che questa donna è solo disperata”.
Infatti, poco dopo un ragazzone le si avvicina, le sussurra qualcosa all’orecchio a noi incomprensibile. “Ora devo andare, magari se Dio vuole ci rivedremo. Mi ha fatto piacere conoscerti”. Prende il bambino per mano. Il piccolo ci lascia il disegno: aerei che bombardano delle persone, case distrutte, rosso sangue. Finito.
*Edizione del 10 aprile 2022





