Sport, 01 marzo 2022

"Soltanto una maglia, quella che porto nel mio cuore”

Silvano Corti, da venerdì nella Hall of Fame bianconera, apre l’album dei ricordi

LUGANO - Silvano Corti, che da venerdì scorso è entrato nella Hall of Fame bianconera insieme ad Andy Ton, ha esordito con la prima squadra del Lugano a soli 18 anni. Anno 1965. Fu ad Ambrì, in un derby balordo e finito malissimo: 13-2 per i leventinesi! Quel giorno il giovane nato a Cadenazzo effettuò pochi cambi, sufficienti tuttavia per capire che brutta aria tirasse. Un inizio traumatico, non c’è dubbio, superato però con tenacia e determinazione, tanto che Silvano riuscirà a costruirsi uno spazio importante all'interno del club: giocherà infatti per altre 13 stagioni alla Resega.


Fra alti e bassi - ricordava nell’intervista che ci ha rilasciato nei giorni scorsi - fra delusioni e gioie, la più grande delle quali fu certamente la promozione nella massima serie nel 1971. Era un Lugano che navigava a vista, costretto a pescare nel mercato d’Oltre Gottardo per mancanza di veri talenti (Molina era un’eccezione); una strategia societaria che non mancò di attirarsi le critiche di coloro che lo paragonavano all’Ambrì, club formatore. Malgrado la spietata concorrenza del Davos e del Losanna, i bianconeri salirono comunque in Lega Nazionale A coronando il sogno dei loro tifosi: raggiungere i leventinesi nell’elite nazionale!


Silvano Corti, che faceva parte di quel gruppo, nemmeno lontanamente poteva immaginare che un decennio più tardi la storia sarebbe cambiata grazie all’avvento in società dell’ingegner Geo Mantegazza. Fu proprio in quella fase epocale del club, sul finire degli Anni Settanta, che il difensore decise di smettere. Non riusciva più a conciliare i suoi impegni professionali (era segretario in pretura) con quelli sportivi. A 33 anni era giunta l’ora di appendere i pattini al fatidico chiodo.


Silvano, complimenti per il riconoscimento.
Sono rimasto sorpreso. Non me lo aspettavo. Non avrei mai pensato di entrare nella Hall of Fame, con tutti i giocatori che sono passati per Lugano. Un onore per me.


Bene. Ma ora raccontiamo ai più giovani, a coloro che non conoscono le vicende del Lugano degli Anni Sessanta e Settanta, la storia di Silvano Corti, terzino maglia numero 3.
Il mio primo vero contatto con il ghiaccio è stato a Cadenazzo, comune nel quale sono nato. Per la precisione su una pista quasi artigianale costruita da appassionati nei pressi del campo di calcio. Se non sbaglio anche l’Ambrì ci giocò una partita amichevole contro i Diavoli di Milano. Avevo 6 anni, tutto cominciò lì. Poi i miei genitori si trasferirono nel Sottoceneri e allora diventai assiduo frequentatore della Resega.


Lei giocò in tutte le categorie, sino agli juniores nazionali.
I primi viaggi nella Svizzera interna nel campionato svizzero! Insieme a Luciano Ciocio Moretti, Alcide Bernasconi, Franco Müller, Marco Cantoni e Tiziano Brambilla, fra gli altri. L’anticamera della prima squadra. Maglia giallonera, io ero uno dei pochi che giocava con il casco.


Poi nel 1965 il debutto in prima squadra. Traumatico.
Il 12 febbraio, un venerdì. Papi Friedrich, allora allenatore, mi chiese di salire ad Ambrì perché la rosa era ridotta. Venni impiegato per due o tre cambi. Meglio sarebbe stato se me ne fossi rimasto a casa. Beccammo 13-2, il povero Alfio non ne poteva di raccogliere i dischi finiti in porta. Fu una tortura. Forse il derby peggiore della storia bianconera.


A proposito di Alfio Molina.
Uno dei grandi del club. La sua presenza ci dava sicurezza. Sapere alle nostre spalle
c’era lui, ci dava tanta fiducia. Eccome! Con lui ho vissuto tante battaglie, insieme abbiamo gioito e sofferto. Lo vedo spesso alla Resega, non molla mai. Così come tanti altri ex della mia epoca: parlo di Côté, Giudici, Ringier, Bernasconi, Agustoni. Altri li sento spesso al telefono: per esempio Gilbert Mathieu, con il quale ho giocato un paio di stagioni. Personaggio estroverso, forte sul ghiaccio e bonario fuori. Il vallesano era un vero trascinatore. E come non ricordare Peter Aeschlimann, purtroppo scomparso?


Questi giocatori hanno ottenuto la storica promozione in LNA nel 1971.
Impresa memorabile. Il Davos e il Losanna erano le squadre da battere. Intorno alla squadra era sempre più crescente l’entusiasmo. Ricordo che nel big match contro i vodesi, alla Resega c’erano oltre 7 mila spettatori. In quel momento in città il calcio stava cominciando a perde colpi e l’hockey stava progredendo. E alla fine della stagione la spuntammo! Avevamo raggiunto il nostro obiettivo ma soprattutto avevano definitivamente abbandonato il nostro status di Cenerentola hockeistica cantonale. L’Ambrì non sarebbe più stato solo a rappresentare il Ticino nella massima serie.


Il Lugano restò tuttavia solo due anni in LNA.
Il primo fu quasi trionfale. Arrivammo quarti in un torneo dominato dallo Chaux de Fonds. E di pari passo cresceva l’affetto popolare nei nostri confronti. Nel secondo, purtroppo, furono commessi alcuni errori di valutazione e fummo relegati, non senza qualche polemica. Un vero peccato. Tuttavia, nella stagione successiva (1973/1974) ci giocammo il ritorno in LNA sino all`ultima partita. Teatro di gara Villars, nostro avversario diretto.


Sfida della quale lei non conserva un bel ricordo.
Già...Ci presentammo in pista con gli stessi punti dei nostri rivali. Ma la nostra partita non durò molto: nelle prime fasi, mi pare verso il quinto minuto, Molina venne battuto da...Corti! Certo, realizzai un clamoroso autogol che spianò la strada ai vodesi. Finì 3-0. Una grossa delusione, anche perché al seguito della nostra squadra c’erano 800 tifosi. Incredibile.


Poi seguirono gli anni bui: mentre l’Ambrì teneva piuttosto bene il suo posto in LNA, il Lugano faceva fatica ad emergere fra i cadetti.
Furono anni difficili, è vero. E fra questi ci metto anche quelli trascorsi a Mezzovico. Ebbi comunque l’opportunità di giocare al fianco di giocatori di calibro internazionale quali i finlandesi Henri Läppe e Juha Pekka Rantasila. Con quest’ultimo legai in modo particolare. Credo di essere sempre stato una persona empatica ed ho avuto modo di dimostrarlo nelle due stagioni in cui sono stato capitano, dal 1977 al 1979. Come detto a un suo suo collega, ero un paciere e un motivatore.


Hockey di oggi e di ieri: differenze?
Non mi addentro nelle questioni tecniche. Ricordo solo che quando giocavo in prima squadra, vigeva il dilettantismo, Lavoravamo tutti, anche gli stranieri. Sino alle 17 in studio, dalle 19 alle 21 allenamento sul ghiaccio. E i giorni in cui non potevamo stare in ufficio per andare alle partite, ci venivano scontati dalle vacanze. Le trasferte? Rigorosamente in treno, viaggi lunghissimi, ad orari impensabili oggi. Tante difficoltà, è vero: ma ho dei bellissimi ricordi di quei tempi incredibili, durante i quali ho giocato solo con una maglia. Quella che porto sempre nel mio cuore.

MAURO ANTONINI
 

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