Opinioni, 16 novembre 2021

Frontalierato, disoccupati, imprenditori e fiscalità

La mia recente proposta volta ad incoraggiare fiscalmente le imprese che impiegano mano d’opera residente ha suscitato parecchio interesse. Mi sembra quindi doveroso riprendere e sviluppare un poco l’argomento.
Il punto di partenza è ormai noto: la Svizzera è il Paese con il maggior numero di lavoratori frontalieri in rapporto ai posti di lavoro complessivi (7%) e il nostro Cantone detiene tristemente il record con il 33%, quota in continua progressione. È quindi innegabile che siamo confrontati con la sistematica sostituzione della mano d’opera indigena con lavoratori delle fasce di confine, allettati da stipendi introvabili in Patria. 

Davanti a questa realtà che porta ormai 74000 frontalieri, ci troviamo 5000 disoccupati per lo più nel settore terziario, proprio quello dov’è attiva la maggior parte della mano d’opera estera.
Ma la situazione è di fatto ben più grave: le cifre sfornate non considerano i disoccupati di lungo corso, usciti dai rilevamenti in quanto finiti a carico dell’assistenza o caduti in invalidità. Neppure tengono conto dei nostri giovani sempre più costretti a lasciare il Cantone per trovare una degna occupazione. E tanto meno delle mamme che dopo aver cresciuto i figli vorrebbero potersi reinserire nel mercato del lavoro, senza riuscirvi.

Ovvio che i profeti del vento aperturista ben si guardano dal fornire statistiche complete ed attendibili, anche perché possiamo azzardare che il costo complessivo in termini di mancati impieghi potrebbe essere di 3-4 volte superiore alle cifre indicate.
 
Da un lato troviamo lo spudorato opportunismo di certi datori di lavoro, fra i quali anche primari gruppi svizzeri ed enti parastatali ai quali va il nostro biasimo.
Ma vi sono molti imprenditori responsabili che si vedono sempre più confrontati con l’impari concorrenza delle ditte d’oltre confine e, ritrovandosi con margini pressocché azzerati, per sopravvivere sono costretti ad incidere anche sui costi della mano d’opera. 
Da dove l’idea di iniziare almeno a dare un forte segnale a queste Piccole e medie imprese per incoraggiarle a sostenere l’occupazione dei residenti.

Proponevo dunque di introdurre una deduzione d’imposta in funzione del numero degli occupati residenti per rapporto al complessivo. Per semplificare suggerivo un sistema a gradoni con deduzioni che vanno ad azzerarsi per chi occupa oltre il 50% di mano d’opera estera. 
/> Le percentuali di riduzione indicate erano volutamente provocatorie: le stesse andrebbero calibrate in funzione dell’impatto complessivo sulle finanze cantonali e comunali.

Come dicevo, la proposta ha raccolto sostanziali consensi ma anche alcune pertinenti osservazioni. Le principali preoccupazioni sono date dalle difficoltà nelle quali potrebbero paradossalmente incorrere i Comuni meno toccati dalla mano d’opera estera, verosimilmente i più discosti con finanze già deboli, che si troverebbero con un minor gettito fiscale. Quelli che invece possono contare su una forte presenza di frontalieri si ritroverebbero con introiti pressocché invariati.

Se allora facciamo un passo avanti nel ragionamento, dovremmo cogliere l’occasione per rivedere anche il meccanismo di riparto delle imposte alla fonte (quota riversata ai Comuni CHF 100 Mio circa), con una ridistribuzione secondo una chiave da definire. Una sorta di primo livello di perequazione finanziaria intercomunale.

Questo assunto non farebbe una grinza anche dal profilo strettamente economico: i frontalieri generano infatti interessanti introiti fiscali a fronte praticamente di nessun onere a carico dei Comuni ospitanti. Non risiedendo in loco la stragrande maggior parte di essi non richiede alcun servizio comunale. Unica obiezione potrebbe essere data dal traffico generato con relativo inquinamento, ma questi fattori ricadono purtroppo su tutto il comprensorio cantonale e toccano l’intera cittadinanza.

È poi evidente che se potessimo anche staccarci dal perverso meccanismo delle retrocessioni all’Italia (CHF 90 Mio) avremmo maggior spazio di manovra per dar vigore alla politica proposta. In fondo anche qui avremmo ragioni da vendere: i Comuni di residenza beneficiano già ampiamente della spesa di questi redditi sul loro territorio con positive ricadute sulla loro economia. 
Ma sappiamo che il coraggio politico, se dolente a livello cantonale, è ormai merce rara alle Camere federali e questo, temo, rimarrà solo un pio desiderio.

In conclusione, con questa proposta potremmo raggiungere tre importanti obiettivi: premiare l’imprenditoria meritevole, dare un concreto colpo di mano ai nostri concittadini esclusi dal mercato del lavoro e creare una prima oggettiva perequazione intercomunale. 
Si tratta però di una manovra fiscale coraggiosa che mi auguro possa essere ripresa ed approfondita dai nostri rappresentanti politici.
 
Piergiuseppe Vescovi
Economista  

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