Pur non facendo fortunatamente parte dell’UE, la Svizzera rappresenta di fatto il Paese con il maggior numero di lavoratori frontalieri (7% circa). E il nostro Cantone detiene purtroppo il record negativo con quasi 72000 frontalieri a fronte di circa 230000 impieghi offerti, pari al 31%.
Seguono Ginevra con il 24%, Basilea Città con il 18% e Basilea Campagna con il 14%.
Come recentemente letto sulla stampa italiana rappresentiamo la “prima industria” della Lombardia.
Quello dell’occupazione nel nostro Cantone, che conta 5000 disoccupati ufficiali - dei quali oltre 2/3 del settore terziario - è ormai un tema pressante che genera un forte sentimento d’impotenza. Ancor più se si pensa che nell’ultimo decennio il frontalierato ha fatto segnare un aumento del 37%: un trend che si conferma purtroppo anche in epoca Covid. Disarmante poi constatare che il 66% dei lavoratori frontalieri (quindi ben 47'000) è occupato nel settore terziario, proprio il settore nel quale sono formati la maggior parte dei nostri disoccupati.
La situazione è però in realtà ben più grave di quanto le cifre non dicano, perché non si considerano i disoccupati di lungo corso, usciti dalle statistiche in quanto finiti loro malgrado a carico dell’assistenza o caduti in invalidità, per le conseguenze psicosomatiche di chi viene a trovarsi in situazione di profondo disagio. E neppure si prova a tener conto dei nostri giovani sempre più costretti a lasciare il Cantone per trovare una degna occupazione e retribuzione.
Sul fenomeno nel suo complesso gli strapieni e “politicamente corretti” uffici di statistica mai mi risulta abbiano scucito dati globali attendibili. Ma di questo ci occuperemo magari in un’altra occasione.
Tornando ai dati ufficiali, è quindi innegabile che siamo da anni confrontati con la sistematica sostituzione della mano d’opera indigena e di questo non si possono certamente incolpare i lavoratori delle fasce di confine, allettati da stipendi del doppio se non del triplo rispetto a quanto percepito in Patria.
La responsabilità va invece ricercata nell’atteggiamento di bieco opportunismo di certi datori di lavoro che approfittano a piene mani di questo bacino d’utenza per incamerare forza lavoro a condizioni ben diverse da quelle che dovrebbero riconoscere ai lavoratori residenti, data la forte differenza