Sport, 29 agosto 2021

“L’esperienza in Nordamerica ideale per lanciare la carriera”

Intervista a Lorenzo Canonica (HCL) chiamato dai Los Angeles per il rookie camp

LUGANO - Shawinigan è una cittadina di 60 mila abitanti situata nel Quebec, uno degli stati più popolosi e industriosi del Canada: qui vi approdarono i primi coloni francesi nel 1534 e di fatto costituisce “una nazione dentro una nazione” per via della lingua e delle diversità culturali. Il francese è l’idioma prevalente mentre nella stragrande maggioranza del paese si parla inglese. Le due anime, pur fra qualche turbolenza e qualche rigurgito indipendentista che riemerge saltuariamente fra i quebecois, convivono senza problemi anche se è proprio nello sport che si fa largo una spiccata rivalità.


Come nell’hockey su ghiaccio, nato proprio da quelle parti, che fornisce alle squadre del Quebec una buona occasione per trarre stimoli e incentivi maggiori ogni qualvolta giocano contro le avversarie anglofone. In questo contesto da oltre un anno vive e lavora il ticinese Lorenzo Canonica, cresciuto nelle giovanili del Lugano: dopo una stagione da gran protagonista nella Under 20 di coach Luca Gianinazzi (è stato il settimo miglior giocatore del campionato svizzero), nel 2020 ha risposto alla chiamata dei Cataractes, che militano nella Quebec Major Junior Hockey League, una delle più importanti del Canada; tanto per capirci è una alle leghe più prestigiose del Nordamerica. Il giovane attaccante, un altro figlio della Capriasca emigrato in America (è di Bidogno) ha iniziato a giocare nelle giovanili bianconere all`età di 10 anni. Regolarmente impiegato nelle categorie mini, novizi e juniores, ha fatto parte anche delle varie nazionali rossocrociate: dalla under 16 all`attuale under 20. Un giocatore che grazie alle sue doti e alla sua applicazione non è sfuggito all`attenzione dei talent scout d’Oltre Oceano. E così, in piena pandemia, è arrivata la proposta di Shawinigan, alla quale ha risposto con entusiasmo, come ha ricordato nell’intervista rilasciatataci pochi giorni prima di ripartire per gli allenamenti estivi, il giorno 21 agosto scorso. 


“A livello umano è una grande esperienza. All’inizio pensavo di avere qualche problema: cambiare casa, cambiare paese, cambiare stile di vita e pure di gioco...Credevo non fosse semplice. E invece, grazie al club in cui sono approdato, ho potuto inserirmi alla grande. Dirigenti e compagni mi hanno fatto sentire come se fossi in Svizzera. Tutto ciò è stato ed è bellissimo”.


Purtroppo però lei non è stato selezionato al recente draft della NHL.
Vero. La delusione è tuttavia passata subito: poche ore dopo aver appreso di non essere stato scelto, ho ricevuto una chiamata dai Los Angeles Kings, che mi hanno chiesto di partecipare a loro rookie camp, agli allenamenti degli esordienti, tanto per capirci. Per me è una ghiotta occasione per farmi conoscere e mettermi in mostra. Io sono pronto.


Torniamo all’esperienza con gli Shawinigan Cataractes. Positiva sinora.
Penso di sì, anche
se non spetta a me esprimere giudizi. Come ho detto prima mi trovo perfettamente a mio agio in quel contesto. La squadra e il club mi piacciono, la gente ci segue e ci sostiene. Pensi che ancora prima di arrivare in Canada alcuni miei futuri compagni mi avevano mandato dei messaggi di benvenuto. Non scontato,direi…


Il bilancio sportivo, comunque, la promuove.
Ho realizzato una ventina di punti in 29 partite ed ho avuto modo di imparare un hockey fondamentalmente diverso dal nostro. E il tutto in un periodo davvero difficile e strano come quelle che stiamo vivendo. Il Covid-19 è un avversario pericoloso che abbiamo combattuto con delle norme molto rigide.


E cioè?
Abbiamo vissuto tutti assieme in una grande casa, mi riferisco alla nostra squadra. Una specie di bolla permanente. Residenza-pista, pista-residenza, senza contatti con il mondo esterno all’hockey. Tutti rigorosamente vaccinati. Inoltre: c’è stato un momento in cui si disputavano 6 partite in soli 9 giorni. Pazzesco.


Quindi non ha avuto la possibilità di conoscere la città?
Nei momenti in cui sono stati gli allentamenti sì. Shawinigan è un piccolo centro, una cittadina a misura d’uomo, situata nel verde. Non ci sono molte costruzioni moderne. È ideale per trascorrere le vacanze.


Torniamo in argomento, torniamo alla squadra.
Siamo un bel gruppo, diretto da un coach, Martin Mondou, che conosce la materia come pochi. Didattico, preparato tecnicamente e tatticamente e pure severo. Una brava persona: quando sono arrivato a Shawinigan mi ha ospitato qualche giorno a casa sua per farmi ambientare subito nella nuova realtà.


Nonostante si tratti di una lega juniores, il vostro campionato è molto seguito. Anche dalla stampa.
Mi dicevano i compagni che prima del Covid-19 c’erano sempre 4-5 mila spettatori di media. Ma non solo: c’è pure un canale TV che trasmette le partite. Qui l’hockey su ghiaccio è a 360 gradi. C’è spazio anche per le leghe minori.


Il fatto che in Nordamerica ci siano altri giocatori provenienti dal settore giovanile del Lugano cosa le suggerisce?
Che alla Corner Arena ci hanno lavorato bene e che in seno all’HCL si formano i giovani nel modo giusto. Poi tocca ai giocatori dimostrare il proprio valore.


Obiettivi per il futuro ?
In questo momento sono concentrato sul Nordamerica e sulle possibilità che mi sono state concesse. Non voglio sbilanciarmi troppo, non voglio mettermi pressione addosso. Certo, un domani non mi dispiacerebbe eventualmente vestire la maglia del Lugano, giocare in pianta stabile nel massimo campionato. Se dovessi tornare in Svizzera, l’HCL sarebbe la mia unica opzione. Non mi vedo altrove.

M.A.

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