Sport, 25 giugno 2021

“Avrei voluto essere Ibra ma poi ho scelto il basket”

Nostra intervista a Daniel Andjelkovic, capitano coraggioso della SAM Massagno

MASSAGNO - Daniel Andjelkovic, 26 anni (è nato il 26 ottobre del 1994 a Sorengo) è il prototipo di giocatore che vorrebbero tutti gli allenatori di basket. Duttilità tattica, ottimo difensore, ala frizzante, quando è necessario mostra i muscoli sotto canestro e sa essere prezioso in fase di impostazione. Un elemento di raccordo indispensabile, sul quale i tecnici della SAM Massagno hanno sempre riposto grande fiducia, ultimo dei quali quel Gubitosa che lo ha praticamente portato in prima squadra, dopo averlo allenato nelle categorie giovanili unitamente a Bracelli e Consoli che, per primi, lo hanno svezzato. Andjelkovic tra l’altro, è sempre stato fedele al club massagnese, anche se in più di un’occasione avrebbe potuto giocare in altre realtà svizzere.


Curioso il fatto che fino a 13 anni Daniel abbia giocato a calcio distinguendosi nel Rapid Lugano. Si dice fosse un buon attaccante. Poi però il tecnico di turno ad un certo punto gli ordinò di giocare in difesa, vista la sua stazza fisica e lui disse di no. La nostra intervista parte proprio da questo fatto che, in pratica, ha rappresentato la svolta della sua carriera sportiva.


Quel cambio di ruolo proprio non le andò giù.
Esattamente. Risposi di no, anche se il tecnico giustificava la sua decisione col fatto che fisicamente ero perfetto per contrastare gli avversari dentro e fuori la nostra area. Volevo restare attaccante perché anche Ibrahimovic – il mio idolo – malgrado fosse fisicamente prestante, sapeva segnare tanti gol.


A quel punto non c’ha pensato un attimo ed ha detto basta.
Proprio così. Ho smesso con questo sport e, grazie ad un consiglio che mi ha dato una signora di nome Elena Piasini dipendente di Casa Primavera, amica di famiglia, sono entrato nella SAM a partire dai 14 anni.


Iniziare un nuovo sport a quell’età era un rischio perché mancavano i movimenti di base per interpretare bene le regole fondamentali della pallacanestro.
Effettivamente non sapevo nulla, anche i movimenti che facevo erano goffi. Il mio primo anno negli Under 15 è stato quindi di puro apprendistato.


Per imparare non c’ha messo tanto tempo, visto che lei è diventato subito un protagonista.
Mi ricordo che i progressi sono stati tangibili, tanto che i mass media hanno cominciato a parlare di me. È stato come ricevere una grande carica di adrenalina ed ho pertanto continuato con determinazione ma anche con grande umiltà: sapevo che avevo ancora molta strada da percorrere.


I primi allenatori…
Lucio Bracelli e Donato Consoli. Il resto del grande lavoro – il più importante - lo ha fatto Gubitosa che ha visto esattamente quello che io ero in grado di fare.


L’attuale tecnico della prima squadra c’ha dunque azzeccato in pieno visto che lei è poi diventato uno dei pilastri del team massagnese.
In quei tempi lui allenava gli Under 17 e 19, gradatamente mi ha dato delle responsabilità per il balzo in Lega Nazionale A.


Poi ecco arrivare il grande giorno dell’attesissimo debutto nella massima serie nella stagione 2011/2012, avversario il Boncourt. Alla guida della SAM c’era Milutin Nikolic. Il vice era proprio Gubitosa.
È stato il tecnico che mi ha dato fiducia e coraggio permettendomi – anche con allenamenti molto duri che mi hanno fatto dimagrire – di diventare un giocatore completo sotto ogni punto di vista, dopo aver fatto la gavetta anche in Prima Lega. Contro il Boncourt fu un giorno memorabile, da quel momento è partita la mia grande avventura. In quel team c’erano tra l’altro Miljanic e Molteni.


Poi lei è diventato capitano dopo il secondo anno nella massima divisione. Ma non solo: è entrato nel giro delle nazionali giovanili.
Sì. Infatti è arrivata la convocazione negli U18 per i campionati europei di categoria. A 16 anni mi sembrava un sogno, ma era una bellissima realtà. Con Marko Mladjan e Ludovico Basso, tanto per fare due nomi, è stata una incredibile esperienza. La fascia di capitano? È stato un
grande attestato di stima e fiducia.


Non ha avuto paura di andare troppo veloce nella sua scalata cestistica?
Mi sono reso conto di questo fatto, ma ho sempre cercato di restare con i piedi per terra, anche quando la gente mi faceva tanti complimenti. Tutto ciò mi ha permesso di acquisire la giusta mentalità.


Come detto, lei è sempre stato fedele al suo club. Cosa lo ha veramente spinto a non lasciare mai
Massagno?

Più che l’attaccamento alla maglia, che ci sta, ho voluto essere riconoscente per quello che questasocietà mi ha dato, credendo sempre nelle mie possibilità.


Coraggio e tenacia, doti che Daniel ha mostrato anche nei momenti difficili, e ce ne sono stati, visti i numerosi infortuni che ha subìto in tanti anni. Come quello al ginocchio destro del 2019 che lo ha tenuto lontano tanto tempo dalla competizione.
Non mi sono mai arreso, il mio carattere è sempre stato quello del combattente, di quello che non si fa mai prendere dal panico e che cerca di risalire la china per tornare come prima.


Nemmeno contro il Covid… 
Sono stato colpito dal virus ma ho lottato come un leone per uscirne. Ho sempre sostenuto che per ogni problema c’è sempre una soluzione, e così è stato.


Tornando alla SAM: per diversi anni ha dovuto sudare per evitare gli ultimi posti in classifica, ora invece la squadra è ai vertici.
Direi molto bene, più responsabilità perché ora la gente da noi si aspetta tanto, è un grande stimolo. Una volta si andava a Friborgo con l’obiettivo di limitare i danni, ora si va nella città della Sarine per vincere. Nell’ultima stagione non è andata benissimo contro i burgundi, ma siamo ugualmente contenti di quello che abbiamo fatto.


Puntavate a vincere un trofeo, invece non è andata così.
Una stagione comunque positiva perché abbiamo dimostrato di avere dei valori tecnici e di avere una precisa identità, anche ticinese visti i numerosi giovani lanciati. I dirigenti hanno lanciato un progetto ben definito, per questo ora ci sentiamo pronti per vincere qualcosa di importante. Possiamo contare su un roster farcito di giocatori di grande talento ed esperienza come i fratelli Mladjan, Molteni, Martino e su ottimi stranieri e giovani davvero dotati. Mi sento orgoglioso di far parte di questo programma ambizioso. Non dimentichiamo che, nel girone di andata, avevamo raccolto nove vittorie e nessuna sconfitta. Purtroppo il Covid ha rallentato tutto. Riprendere la preparazione e continuarla è stato molto laborioso, ma alla fine siamo riusciti a terminare la stagione con venti vittorie e cinque sconfitte.


Giocare senza pubblico, un’esperienza molto frustrante.
Direi proprio di sì, nel basket senza l’apporto della gente ti senti solo, anche se poi ti abitui. Spero che nel prossimo campionato torni il pubblico perché la SAM lo merita, dopo quello che ha fatto la scorsa stagione.


C’è stato un giocatore nel quale lei si è immedesimato?
Vlade Divac è stato il primo. A 14 anni ero alto quasi due metri e quindi io spesso giocavo sotto canestro, proprio come Vlade Divac, centro dei Los Angeles Lakers. Nel draft poi il club californiano lo ha scambiato con Sacramento ingaggiando Kobe Bryant che è stato il mio secondo idolo, per il suo modo fantasioso e spettacolare di giocare, cambiando più ruoli.


Ci sono giocatori con i quali lei ha stretto amicizia?
Io sono stato bene e sto bene con tutti, ma se devo fare qualche nome allora dico Fabio Appavou e Randon Grüningen. Quando fai parte del gruppo non occorre fare distinzioni, la compattezza e lo spirito di sacrificio devono fare la differenza.


Per concludere, si sente di mandare un messaggio ai tifosi per la prossima stagione?
Vogliamo far tornare la gente in palestra, abbiamo le carte in regola per divertire e quindi vogliamo che i tifosi ritrovino le giuste sensazioni.

GIANNI MARCHETTI

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