Sport, 02 maggio 2021

“Valascia, un luogo di culto e anche di aggregazione”

Stasera a Storie (RSI LA1, ore 20.40) va in onda il documentario sulla pista leventinese

LUGANO - Questa sera alle 20.40 la RSI manderà in onda a Storie il documentario di Piergiorgio Giambonini e Arthur Schmidt «La Valascia». Una parabola romantica, un racconto fatto di tante piccole tessere e soprattutto di tanta passione, come ha scritto sul suo casco il portiere leventinese Benjamin Conz : “Qui è stata scritta la storia, tutti insieme, con amore, passione e resilienza”.


Un omaggio, il suo, ad una pista che ha chiuso i battenti lo scorso 5 aprile ma che rimarrà per sempre nella mente e nei cuori dei tifosi che l’hanno frequentata. Per parlare di questa importante produzione, che farà sicuramente felici i fans dell’HCAP (ma che dovrebbe interessare anche gli amanti dello sport a prescindere dalla fede sportiva), ci siamo intrattenuti con uno degli autori Piergiorgio Giambonini, giornalista ticinese di lunga militanza fra i più apprezzati.


Lo scorso mese di marzo la Valascia ha chiuso definitivamente i battenti. Che cosa ha rappresentato per lei dal punto di vista professionale?
Andare a vedere e “vivere” l’hockey alla Valascia è sempre stato speciale e unico anche per noi giornalisti, perché ha sempre significato farlo in maniera “diversa”. Le infrastrutture che sembravano già vecchie e scomode – o comunque d’altri tempi – quando ancora di fatto non lo erano… L’ambiente unico e inimitabile prima, durante e dopo le partite, in paese, in pista e attorno alla pista, nelle buvette e nei ristoranti stracolmi già ore prima delle partite, il tifo caldissimo a diretto contatto con il campo da gioco… In tutti i sensi, ahinoi, cose d’altri tempi... 

Tante emozioni, immaginiamo: ce ne può raccontare una in particolare? O un aneddoto? 
Inutile girarci attorno: la Montanara cantata a squarciagola da 7000 persone che festeggiano la vittoria, è sempre – e sottolineo sempre - qualcosa di assolutamente unico e incredibile, da “pelle d’oca”, anche per chi come il sottoscritto queste emozioni le vive non da tifoso ma da appassionato di hockey a tutto campo. Insomma, la Valascia è (era…) la Montanara cantata da 7000 voci. E quella in assoluto più emozionante è stata allora quella dedicata 10 anni fa alla memoria di Peter Jaks.


Qualcuno ha definito la Valascia patrimonio culturale del Ticino. Esagerazione oppure no? 
Capisco bene che affermare una cosa del genere possa infastidire, ovviamente il Ticino non biancoblù ma più in generale chi non s’interessa di cose sportive. Abbinare sport e cultura è un’impresa in tutti i sensi: eppure lo sport fa parte della cultura in senso lato di un paese e di un popolo. Detto questo, ne propongo un’altra che forse farà altrettanto discutere: la Valascia è (stata) uno storico “luogo di culto”. E ovviamente di aggregazione. 


Veniamo al documentario. Come nasce l’idea di realizzarlo? 
Quando in autunno ci siamo ritrovati con gli stadi vuoti, il pensiero di una Valascia improvvisamente condannata a chiudere in silenzio e solitudine
il suo mitico percorso di lì a qualche mese, si è fatto ancor più pesante e pressante in me, in quanto giornalista che per quarant’anni ha frequentato quel luogo e quella realtà. La primissima idea è stata di raccontarla in un servizio di 10-15 minuti, poi si è passati a 20-25 e col trascorrere delle settimane ci siamo resi conto - su impulso del capo dipartimento sport della RSI Enrico Carpani - che un documentario “classico” di 50-55 minuti ci sarebbe stato tutto… Insomma, da idea nasce idea, ed è nato così un film di sport ma non solo. Un film realizzato con un giovane regista ticinese, Artur Schmidt, che dell’hockey, dell’HCAP e della Valascia sapeva poco o nulla, ma che si è fatto subito coinvolgere da questa storia davvero unica ed emozionante. 


Quanto tempo avete impiegato per portarlo a termine? 
Ci abbiamo lavorato un paio di giorni alla settimana a partire da inizio gennaio. La prima fase è stata dedicata alle ricerche in archivio, alle riprese sul posto, sotto la neve e dietro le quinte, e a quelle con il drone. Poi abbiamo organizzato e registrato una ventina di interviste, e parallelamente è cominciato il lungo e appassionante lavoro di montaggio. 


Tante immagini di archivio, e pure testimonianze attuali… 
Negli archivi della RSI ho trovato, come sempre, tantissimo materiale, in parte già visto e utilizzato in precedenti occasioni, in parte inedito. Anche questo è stato un lavoro appassionante. Alle immagini “vecchie” e a quelle attuali, si aggiungono come detto una ventina di testimonianze di persone che in vari ruoli, contesti e periodi hanno contribuito a scrivere e/o raccontare la storia della Valascia, storia legata ovviamente a doppio filo a quella dell’HCAP ma anche del paese e dell’alta Valle Leventina.


Come avete strutturato il lavoro? C`è un fil rouge? 
Abbiamo scelto di farla raccontare a una “voce narrante”: la signora Valascia, potremmo dire… Poi tante testimonianze, partendo dagli anni 50 del secolo scorso per arrivare agli ultimi minuti di “vita”, con un’accattivante colonna sonora. Il fil rouge? Sicuramente le emozioni.


Avete privilegiato le immagini piuttosto che le parole?
Diciamo che abbiamo cercato e – spero… - trovato un buon mix: in un documentario di quasi 55 minuti, è determinante tenere “incollato” il telespettatore, mantenere costantemente vivo il suo interesse, le sue aspettative, la sua curiosità. Proporre insomma il ritmo giusto di immagini, voci, musica e emozioni…


Cosa vedremo e che cosa, invece, non vedremo in questo documentario? 
Tanto per… concludere: per scelta, non vedremo nulla della nuova pista di Ambrì. È e vuol essere solo un omaggio alla storia della Valascia, della vecchia Valascia: quasi settant’anni di storia, come detto, non solo di sport, ma anche di aggregazione, di passione e (termine che non mi piace, perché abusato) di resilienza.

MAURO ANTONINI

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