Sport, 05 aprile 2021

Valascia, giù il sipario...

Oggi la pista biancoblù chiude. Ne parliamo col giornalista-scrittore Luca Dattrino

AMBRÌ - Luca Dattrino ha dedicato una vita all’Ambrì Piotta. Prima come tifoso fedele, poi come giornalista e scrittore. Nel 2012 ha scritto “ Lo Spirito della Valle”, prossimamente uscirà la sua ultima fatica: “La Mitica e il suo domani”, edizioni Fontana. E proprio con Luca abbiamo voluto parlare della Valascia che oggi, in occasione di Ambrì Piotta-Friborgo, chiude definitivamente i battenti. A causa della pandemia all’ultimo saluto non ci saranno i tifosi. Un vero peccato, perché la pista biancoblù avrebbe meritato una giornata di festa.

Luca, la stagione biancoblù finisce prima del tempo. Deluso?
Certo, come tutti mi sarei aspettato un risultato migliore. Ma sono tempi difficili e tutta la stagione è stata caratterizzata da imprevisti dovuti al coronavirus. Poi, giocare senza pubblico non ha facilitato le cose. L’Ambrì è sempre stata una squadra “emotiva” e sono sicuro che con l’aiuto dei suoi tifosi, alla Valascia avrebbe ottenuto qualche vittoria in più.

La Valascia, appunto: oggi chiude i battenti con la sfida Ambrì Piotta-Friborgo. Triste senza pubblico la partita d'addio...
È un triste addio. La nostra amata pista avrebbe meritato di meglio.

Cosa ha rappresentato per lei la patinoire leventinese?
È sempre stato un luogo magico. Mi ci ha portato la prima volta mio papà. Era la prima metà degli anni Sessanta. L’HCAP era in LNB e giocava contro il Sierre. Da quel giorno è scoppiato l’amore. Mio papà seguiva le partite dagli spalti sul dritto o dalla tribuna. Io andavo sempre in curva. Allora c’erano solo tre assi vicino alla balaustra: il resto del pendio era erba fino al bosco di pini. Ricordo il grande orologio in legno, con la scritta Eterna. C’era un tipo che saliva e scendeva da una scala ad ogni gol, con in mano tessere di plastica con un numero stampato sopra. Ero un bambino piuttosto solitario: la Valascia e l’Ambrì mi hanno sempre regalato tranquillità e belle emozioni. Da quel giorno, quando l’Ambrì giocava io ero alla Valascia. Poi ho lasciato il Ticino per oltre dieci anni; ma quando tornavo e c’era l’occasione, mi fiondavo alla pista. Dal 1986 ad oggi credo di aver perso al massimo una decine di partite.

Tante emozioni, quale la più grande?
Penso sempre alla promozione del 1970. Si giocava contro il Friborgo. L’Ambrì era già matematicamente promosso. Perse il match ma poientrarono in pista tante ragazzine con le fiaccole accese e le bandiere. Una cerimonia semplice ma vera, come lo era la squadra di quegli anni. Si
percepiva che i giocatori, tutti o quasi del posto, si volevano bene, si capivano con uno sguardo e avrebbero venduta cara la pelle: lo spirito della valle. Poi, impossibile dimenticare quel 3 a 3 contro l’imbattibile Chaux de Fonds. C’era Andy Bathgate alla transenna e un pubblico mai visto: oltre diecimila persone. Ma nemmeno dimentico gli anni con Brian Lefley, o le vittorie con Larry Huras. E un pensiero vaanche alla sera in cui è stato ricordato con i canti della curva Peter Jaks.

Il pubblico leventinese si è molto identificato con questa struttura.
Sì, ma la nuova pista è necessaria. È lo sport moderno e certe sue dinamiche che mi danno fastidio. Ecco, questo mancherà: un legame vero e genuino tra passato e futuro. La Valascia era affascinante, “cult” proprio perché ci ricordava gli albori di questo sport, quel romanticismo che aleggiava nei club di montagna e in coloro che si identificavano in tutto questo. La Valascia è una sorta di totem per ricordare che lo sport non è soltanto business: catering, merchandising, vip-lounges, hostess, food and beverage… Alla fine è solo hockey.

Qual è il giocatore o il tifoso che più ha rappresentato idealmente la Valascia?
Penso a tutti quei tifosi che si sono sempre recati alla pista: freddo, neve, strade, primo o ultimo posto, LNA o LNB che fosse. Da ragazzino ricordo partite interminabili, con la pulizia del ghiaccio ogni dieci minuti per la neve che cadeva e il ritorno a casa interminabile, a montar catene sul Piottino. Per quanto riguarda i giocatori dico tutti i ticinesi, poiché vivevano la Valascia in maniera diversa dagli altri. Tra i giocatori di importazione Dale McCourt.

La nuova pista non si chiamerà Nuova Valascia. Non le dispiace?
La Valascia è la Valascia: non è la vecchia e non può essere la nuova. Non mi piace che le venga abbinato il nome di uno sponsor, anche se mi rendo conto che è necessario.

Mi parli ora del nuovo libro.
È un’operazione editoriale importante. Racconterà la Valascia, dal Campo Cava ai “seggiolini-covid”. C’è tanta storia ticinese, in questo libro, con immagini e documenti inediti ed esclusivi. Poi c’è spazio per le partite memorabili, per gli aneddoti e le curiosità raccontate da giocatori, ex giocatori, avversari, allenatori, arbitri. E naturalmente racconterà la genesi del nuovo stadio multifunzionale, la nuova casa dei biancoblù. Mi auguro che venga accolto con simpatia e che possa aiutare tutti in questo momento.

MAURO ANTONINI

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