Sport, 15 marzo 2021

1964, davanti a Franco il trionfo della Spagna

Raccontiamo la storia della rassegna continentale dalla prima edizione in poi

Da una dittatura all’altra. Dall’Unione Sovietica alla Spagna, alla quale viene assegnata l’organizzazione della fase finale della seconda edizione degli Europei di calcio. È un’edizione contraddistinta dalle polemiche interne alle Furie Rosse: il commissario tecnico José Villalonga, uno che bada al sodo, decide di lasciar fuori a sorpresa cinque grandi protagonisti del Real Madrid campione d’Europa, fra questi anche il “grande” Alfredo Di Stefano, secondo alcuni il più forte calciatore di tutti i tempi (davanti anche a Maradona e Pelé). Il tecnico vuole una squadra da combattimento, un undici “feroce”: gli artisti sono banditi, o quasi.

E al popolo del calcio spagnolo tutto ciò non va giù: ma nonostanbte le proteste della gente, naturalmente della stampa e il tentativo, per altro fallito, di qualche ministro del generale Francisco Franco (che detesta il Real perchè primo tifoso dell’Atletico Madrid) di far tornare sui suoi passi Villalonga, la Spagna si presenta ai nastri di partenza con la base del Barcellona e soltanto due veri fantasisti, Amancio e Luisito Suarez, che farà le fortune dell’Inter del mago Helenio Herrera. A differenza della prima edizione disputata in Francia, questa è una rassegna ricca di pathos ed entusiasmo: gli spagnoli amano profondamente il calcio e, al di là di un sentimento politico contrastante, quando gioca la Roja tutti abbracciano una sola bandiera.

Fascisti, democristiani, comunisti e anarchici. È un momento di grande tensione nel paese: la dittatura franchista non risparmia nessuno. La stampa, i giornali, le TV e le radio sono controllati dagli uomini del “generalissimo”; sono proibite le manifestazioni pubbliche e chi osa sfidare il regime finisce in carcere e, spesso, “sparisce”. Malgrado ciò l’Europeo si gioca in un clima sereno: il calcio trionfa sul resto, basti pensare che prima della finalissima fra la Spagna e l’URSS gli spettatori iberici (quasi 125 mila!) applaudono l’inno russo. Dimostrazione di grande maturità.

Anche in questa occasione, la formula è semplice: ottavi e quarti di finale con doppio confronto (andata e ritorno) e quadrangolare finale concentrato in una sola sede, la Spagna appunto. Si gioca in due stadi leggendari: al Bernabeu di Madrid e al Camp Nou di Barcellona. Il cast di eventuali protagonisti è ricchissimo: Eusebio, Di Stefano (poi tagliato…),
Hamrin, Suarez, Yashin, Rivera. Tanti campioni per un torneo che si preannuncia avvincente.

Al primo turno salta l’Italia, che nella sfida contro i campioni in carica dell’URSS si fa mettere sotto senza troppi complimenti. Il gioco duro e maschio dei sovietici non fa sconti agli azzurri, ai quali non basta la classe dei singoli (Rivera su tutti). Ma la rivelazione si chiama Lussemburgo, che elimina a sorpresa l’Olanda. Quest’ultima nel turno eliminatorio aveva buttato fuori i rosscrociati di Rappan (vedi riquadro a parte).

In un clima di crescente tensione agonistica, si giunge ai quarti, al termine dei quali passano la Spagna, l’URRS, l’Ungheria e la Danimarca. Ma i “ vichingi” penano oltre il lecito contro il Lussemburgo. È infatti uno spareggio per decretare il nome di chi andrà alla fase finale in Spagna. E i danesi, stavolta, sono più bravi. Le semifinali sono servite: Spagna-Ungheria, Unione Sovietica-Danimarca. Il calcio dell’Est, fisico e schematico, è rappresentato da due squadre. Le grandi d’Europa, Spagna a parte, non ci sono: Italia, Inghilterra, Francia e Germania Ovest (nemmeno iscritta!) sono fuori.

Le semifinali, come ampiamente previsto, si giocano all’insegna di un calcio muscolare. Ne sa qualcosa la Spagna, che per superare la rocciosa Ungheria, deve ricorrere ai supplementari. Grande protagonista è il portiere Iribar che salva la baracca in diverse occasioni. Poi il genio di Amancio toglie le Furie Rosse dai pasticci: obiettivo raggiunto! È finale. La critica comunque non risparmia Villalonga che preferisce un calcio sparagnino e rude. Di Stefano, Puskas (naturalizzato spagnolo), Gento e Del Sol, sono infatti in tribuna…

Dal canto suo i sovietici eliminano i danesi, una squadra di semiprofessionisti che si trova lì quasi per caso. E così arriva il giorno atteso, il 21 giugno 1964: la finale che tutti gli spagnoli sognavano. Sì, perché la squadra di Villalonga deve vendicare la sconfitta di quattro anni prima, quando l’URSS vinse il primo titolo continentale. Suarez e soci non sbagliano un colpo e grazie ad un crollo fisico, inaspettato per altro, della squadra di Constantin Beskov, vincono la Coppa Henry Delaunay grazie alla rete decisiva di Marcelino a sei minuti dalla fine. Que viva Espana! Villalonga ha vinto la sua battaglia: contro i sovietici ma soprattutto contro coloro che lo aveva denigrato per le scelte coraggiose.

JACK PRAN

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