Sport, 09 febbraio 2021

“Eravamo i brutti anatroccoli, poi arrivò Geo e tutto cambiò”

Lo storico DS bianconero Fausto Senni racconta la sua grande avventura

LUGANO - Fausto Senni conosce vita e miracoli dell’HC Lugano. Dal 1973 sino a metà degli Anni Novanta è stato parte attiva nel club quale direttore sportivo. In seguito ha messo a disposizione la sua esperienza e le sue conoscenze anche senza ricoprire incarichi ufficiali. Personaggio discreto, mai sopra le righe, più pompiere che attizzatore, ha vissuto l’epopea del Grande Lugano, periodo di cui fa molto riferimento in questa intervista che abbiamo realizzato per l’ottantesimo della società più prestigiosa e vincente del Canton Ticino. Ma è stato anche testimone della relegazione in LNB nel 1973 e della fase “buia” del club, che per poco non fu costretto a portare i libri in tribunale. Anno 1978, l’anno della svolta. 

Fausto Senni: da dove partiamo?
Dai tempi di Loreto e di Noranco, quando il Lugano giocava ancora su piste improvvisate e improbabili. Ero uno sportivo a tutto tondo, ad ogni evento ero presente. Ma la mia passione era per il Football Club Lugano. Non mi perdevo una partita. In città non si parlava che di calcio e di quella squadra che spesso e volentieri metteva il bastone fra le ruote ai vari Grasshopper, Zurigo e Basilea. 

Lei era anche amico di Otto Luttrop… 
Il più grande giocatore che abbia mai calciato l’erba di Cornaredo. Con lui aprimmo anche un bar in Corso Elvezia. Lo chiamammo Nico, in onore di mio figlio Nicola. Ricordo Otto con nostalgia e affetto. 

Ma lei simpatizzava anche per l’Ambrì Piotta. 
In quegli anni era l’unica squadra ticinese di hockey di livello. In Ticino non c’era altro, il Lugano giocava nelle categorie inferiori. Era quasi automatico simpatizzare per i leventinesi. Mi ricordo che seguii la diretta radiofonica della partita Ambrì-Basilea che valse la prima storica promozione dei biancoblù in LNA. Correva l’anno 1953… A quei tempi non c’era ancora la televisione e la radio era per noi un mezzo di informazione fondamentale.

Vent’anni dopo ecco il suo arrivo a Lugano...
Presidente Bruno Ronchetti, in comitato c’era anche Enrico Briccola. I due erano l’anima del club. Mi chiesero di fare il direttore sportivo. Non è che avessi una grande esperienza ma mi buttai in questa avventura con grande passione. Proprio quell’anno fummo relegati in Lega Nazionale B. La società aveva scalato tutte le categorie e nel 1971 venne promossa nell’elite. Ci restammo due stagioni, uscendone comunque a testa alta. Mi ricordo che i derby si giocavano sempre al limite: poca sportività, tante botte e tante polemiche… 

Il motivo?
Semplice: per l’Ambrì e i suoi tifosi l’HCL era considerato un intruso. Una sorta di brutto anatroccolo. Mal digerirono la nostra ascesa nella massima divisione, nella quale i leventinesi erano giunti l’anno prima. Insomma: il Lugano, il piccolo Lugano, era riuscito a salire in A. 

Poi però improvvisamente qualcosa cambiò…
Nel 1978 la società era sull’orlo del fallimento. Non c’erano i soldi per allestire la nuova stagione (giocavamo fra i cadetti) ma soprattutto c’erano parecchie situazioni pendenti che non ci facevano dormire la notte. Poi il grande Cucio Viglezio fece una delle sue pensate e contattò l’ingegner Mantegazza, uno degli imprenditori ticinesi più facoltosi. Geo aveva avuto importanti trascorsi calcistici ed era considerato un “calciofilo”. Non credo conoscesse a fondo l’hockey. Comunque: Mantegazza, dopo aver chiesto qualche giorno di tempo per pensarci, aderì alla richiesta e per l’HCL arrivò la tanto attesa boccata d’ossigeno. Del vecchio comitato restò solo il sottoscritto. In pochi anni, il club si trasformò e nel 1982 salì in Lega Nazionale A. Per restarvi non solo da comparsa ma anche da grande protagonista come tutti sanno. 

Qual è il ricordo più bello di quegli inizi? 
La sera del 23 ottobre 1979 andammo a vincere per la prima volta
alla Valascia. Avevamo rotto un tabù. E per l’Ambrì fu un brutto colpo. Certe certezze cominciarono a vacillare. Ricordo che in quella squadra giocavano Fabio Gaggini, il povero Jim Koleff, il grande Alfio Molina, un vero simbolo di questa società, ma anche un giovane di belle promesse quale Angelo Zarri. Non dimenticherò mai l’ambiente funereo della pista leventinese a fine partita: si sentivano solo le voci dei nostri pochi tifosi saliti in Valle… 

Ma la vera svolta avvenne nell’estate del 1983.
Sì. Geo cercava un allenatore di polso e grandi conoscenze. Gli consigliarono un certo John Slettvoll, di cui noi sapevamo poco o nulla. Il presidente andò in Svezia e dopo un lungo colloquio lo convinse a venire in Svizzera. Per uno svedese non era scontato, visto che il nostro hockey allora era considerato da… terzo mondo, con tutto il rispetto parlando. Fu la svolta. Iniziava quella che ancora oggi è considerata una vera e propria rivoluzione: con l’arrivo di John e la disponibilità economica di Mantegazza, il Lugano diventò il Grande Lugano. E i titoli arrivarono come logica conseguenza. 

Una rivoluzione diremmo copernicana.
Per essere competitivi bisognava cambiare mentalità e programmazione.Gli allenamenti furono intensificati e la disciplina messa al primo posto. I giocatori dovevano sottostare a due allenamenti quotidiani, fu introdotta la preparazione atletica estiva con Emilio Fumagalli. Grazie poi a nuovi contratti, i giocatori diventarono praticamente professionisti. Più responsabilità, insomma, per tutti.

Per 5 anni il Lugano dominò la scena nazionale.
Avevamo un gruppo solido e tante ottime individualità. Penso a Waltin, Johansson, Lörtscher piuttosto che a Jörg Eberle, il più grande talento dell’epoca che andammo a riprendere a Davos. Ma per Slettvoll contava solo la squadra: il singolo veniva dopo. Lo dimostrò nel corso degli anni, quando in certe occasioni non si fece scrupoli a lasciare fuori qualche protagonista.

In quel periodo lei non era solo direttore sportivo…
Facevo da collante fra la presidenza e John Slettvoll. I loro rapporti furono generalmente buoni ma ogni tanto lo svedese era difficile da gestire. Diciamo che io gettavo acqua sul fuoco, e non solo per calmare gli animi del tecnico. Quando c’era da andare in TV o alla radio per tenere alta la bandiera del club, inviavano sempre me… 

Lei uscì di scena quando Slettvoll smise. 
Ma sono sempre rimasto vicino al club. Sino ad un paio d’anni fa seguivo gli allenamenti e pure le partite casalinghe. E ogni tanto qualcuno mi chiamava per chiedermi consigli. La mia passione non è mai venuta meno, neppure ora. Seguo sempre la squadra alla TV, mi informo su tutto. Il Lugano è stato ed è una parte importante della mia vita.

Ha mantenuto ancora rapporti con i protagonisti del Lugano di Slettvoll?
Soprattutto con lo svedese. Con lui mi sono sempre trovato bene. Un maestro di hockey, una personalità forte ma sempre pronto ad ascoltare. Credo che a lui e a Geo si debba fare un monumento. Se la città è conosciuta e fuori dai confini della Svizzera è anche merito loro. Come non ricordare a questo proposito la partecipazione alla Coppa Spengler del 1991 e ai gironi di Coppa dei Campioni degli anni precedenti? 

Come vede il futuro della società bianconera? 
Difficile rispondere, anche perché con questo coronavirus in giro non è semplice programmare. Vorrei tuttavia aggiungere una cosa: quel giorno che Geo non ci sarà più, cosa succederà al Lugano? Una domanda che mi inquieta… 

Una dedica infine.
A tutti coloro con i quali ho lavorato per oltre 40 anni. Nei momenti bui e nei momenti felici. Ce ne sono tanti, non mi va di citare solo un nome. Lunga vita al club !

MAURO ANTONINI
 

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