Sono alquanto fuori posto, oltre che fastidiosi, i toni trionfalistici utilizzati in occasione della firma del “nuovo” accordo sulla fiscalità dei frontalieri.
Il Ticino non ha alcun motivo per ritenersi soddisfatto da un accordo del genere: più che un successo, si tratta di una fregatura che arriva dopo quasi 6 anni di melina della controparte italiana. La quale è peraltro assai poco sospetta di sottoscrivere accordi che non siano a proprio favore.
L’applicazione del nuovo regime fiscale solo ai nuovi frontalieri, a partire dal 2023, suona come una presa in giro. E’ evidente che, a queste condizioni, uno degli effetti auspicati con il cambiamento di sistema, ossia una maggiore pressione fiscale sui permessi G in funzione “antidumping”, viene a cadere.
Pure inaccettabile il perpetrarsi dei ristorni dei frontalieri fino al dicembre 2034. Poiché i ristorni attuali ammontano ormai a quasi 100 milioni di Fr all’anno (in continua crescita), 14 anni di ristorni equivalgono ad 1.4 miliardi di franchi, che partirebbero senza motivo per la vicina Repubblica.
Nel frattempo, ben lungi dal portare entrate supplementari nelle casse cantonali, il “nuovo” accordo - come ben rileva il prof. Marco Bernasconi sul CdT del 24 dicembre - otterrà l’effetto proprio contrario: l’aliquota di ristorno salirà dal 38,8% al 40%, ed in più verrà cancellata la legge cantonale che fissa al 100% il moltiplicatore comunale a carico dei frontalieri. Il moltiplicatore dovrà scendere all’80%, con conseguente perdita di gettito per l’erario pubblico.
La Convenzione del 1974 è priva d’oggetto ormai da svariati anni. Essa costituiva il prezzo da pagare al Belpaese affinché riconoscesse il segreto bancario elvetico. Sappiamo come si è conclusa quella vicenda.
La Convenzione venne sottoscritta nell’interesse nazionale. Il prezzo, però, l’ha pagato - e tuttora lo paga - praticamente solo il Ticino. Va pure ricordato che altri accordi firmati dopo l’entrata in vigore della libera circolazione delle persone, come quello con l’Austria, prevedono ristorni ben inferiori. Addirittura, il Lussemburgo - Stato membro dell’UE - per i frontalieri francesi e tedeschi attivi sul proprio territorio non versa alcun ristorno d’imposta.
La Confederazione avrebbe dunque dovuto disdire unilateralmente la Convenzione del 1974, come peraltro chiesto a più riprese della Lega dei Ticinesi. Se non l’ha voluto fare, è solo in nome dei presunti - davvero soltanto presunti - “buoni rapporti”