Svizzera, 15 maggio 2020
Dopo 34 anni in Svizzera, espulso per abusi sessuali, maltrattamenti al figlio e debiti
Dopo 34 anni, un cittadino congolese dovrà lasciare la Svizzera per abusi sessuali, maltrattamenti, debiti e più in generale una scarsa integrazione nel nostro paese. Il Tribunale federale ha così confermato la revoca del permesso di soggiorno dell'uomo, che dovrà quindi fare ritorno al suo Paese.
Arrivato in Svizzera come richiedente l'asilo nel 1985 all'età di 31 anni, l'uomo aveva ottenuto un permesso di soggiorno per casi personali di rigore nel 1991. Nel 2015 è stato condannato a 20 mesi di detenzione, di cui 6 da scontare, dalla giustizia vodese per aver abusato di una ragazzina dai 7 agli 8 anni tra il 2007 e il 2008.
Nel 2018 il Dipartimento dell'economia, dell'innovazione e dello sport gli aveva quindi revocato il permesso di soggiorno. Una decisione confermata dal tribunale cantonale vodese nel dicembre 2019. In una sentenza pubblicata venerdì, il tribunale federale respinge l'appello del congolese, ritenendo che la sua condanna a 20 mesi soddisfi le condizioni per un allontanamento dalla Svizzera. Data la gravità dei fatti – il ricorrente aveva abusato di una bambina di fronte al padre che si era accordato con l'uomo
- la giustizia vodese era nel diritto di considerare l'espulsione dell'uomo nell'interesse preponderante della sicurezza pubblica.
I giudici di Mon Repos notano anche la mancanza di consapevolezza e pentimento del condannato., il quale, durante il processo, aveva evocato un "incantesimo" da parte della sua vittima. Oltre agli abusi sessuali, l'uomo non può nemmeno dirsi integrato in Svizzera, osserva il TF. Tra il 2003 e il 2016, ha accumulato un debito di oltre 250'000 franchi dall'assistenza sociale. Inoltre, i rapporti con suo figlio, che ora ha dieci anni, non consentono nemmeno la possibilità di continuare il suo soggiorno in Svizzera. In effetti, il Servizio di protezione della gioventù del canton Vaud aveva segnalato maltrattamenti ai danni del bambino nel 2017.
I giudici riconoscono che il ritorno in Congo per il ricorrente non sarà privo di danni. L'uomo non avrà più diritto alla sua pensione AVS, ma potrà sempre pretendere il rimborso dei suoi contributi. Queste considerazioni, tuttavia, non sono sufficienti per rimettere in discussione la proporzionalità dell'espulsione, concludono i magistrati.