Svizzera, 13 aprile 2020
Infermiera deve continuare a lavorare nonostante sia positiva al Coronavirus
Nonostante sia positiva al Coronavirus, un'infermiera dell'ospedale cantonale di San Gallo deve continuare a lavorare. La sua collega Aurelia (nome di fantasia) scuote la testa. "Non capiamo perché lei debba venire malata mentre altri, sani, rimangono a casa", confessa a 20 Minuten Aurelia*, un'altra collaboratrice della struttura. "Non solo è rischioso, ma anche inutile". Al momento, secondo Aurelia, il personale è sufficiente: "Attualmente stiamo lavorando in coppia invece dei soliti tre".
Nessuno lavora con casi di Coronavirus nel reparto della collega infetta, afferma Aurelia. Ha scoperto il caso perché ha dovuto dare una mano in un altro dipartimento. L'infermiera colpita è stata infettata in un paziente che è stato trovato positivo in ritardo. "Poi ha ottenuto due giorni liberi e ha ottenuto il risultato positivo del test in quel periodo."
Poiché la dipendente non aveva sintomi, è stata richiamata al lavoro dopo due giorni. "Non si sente a suo agio", spiega Aurelia. I membri del team dell'infermiera positiva hanno anche avuto una brutta sensazione sulla questione: "Non capiamo perché la collega malata debba venire mentre qualcuno in buona salute sta a casa".
L’Ospedale cantonale di San Gallo, da parte sua, sostiene che le linee guida stabiliscono che i dipendenti ammalati che presentino sintomi lievi e sono privi di febbre devono isolarsi per 48 ore e che, passato questo periodo di tempo, possono tornare al lavoro "se possibile portando una mascherina chirurgica per 10 giorni dalla comparsa dei sintomi". La struttura sostiene così di attenersi alle raccomandazioni di Swissnoso, il centro nazionale per la prevenzione delle
infezioni, che consiglia di permettere al personale malato di tornare in servizio portando la mascherina. L’obiettivo è di garantire l’assistenza ai pazienti in caso di mancanza acuta di personale.
L’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) insiste proprio su questo punto per criticare indirettamente la scelta del nosocomio sangallese. Le raccomandazioni di Swissnoso, infatti, rappresentano una soluzione d’emergenza pensata per la situazione straordinaria determinata dal coronavirus e "non dovrebbero essere usate fintanto che l’assistenza e la sicurezza dei pazienti possono essere garantite altrimenti".
Come sembra essere il caso all’Ospedale cantonale di San Gallo, dove, per il momento, non sembra affatto regnare una crisi: "Siccome le operazioni chirurgiche sono state annullate adesso ci sono più di 300 letti liberi", ammette la struttura. "Per questo invitiamo il personale, quando possibile, a ridurre le ore supplementari", aggiunge.
Nonostante ciò il nosocomio difende la scelta di far lavorare collaboratori infetti: "Se qualcuno è solo leggermente raffreddato può continuare a lavorare, non ha alcun senso impiegare al suo posto personale che non conosce i processi", spiega il portavoce Philipp Lutz. Le misure standard impiegate, del resto, proteggerebbero sufficientemente i pazienti: "Non sussiste alcun rischio aumentato", assicura Lutz.
Ma nemmeno Swissnoso, alle cui raccomandazioni la struttura si appella, sembra troppo convinta da queste spiegazioni: "È palese che le linee guida di San Gallo non corrispondono alle nostre indicazioni", afferma dal canto suo il presidente dell’organizzazione, Andreas Widmer.