Mentre l’esercito siriano avanza nella provincia di Idlib, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan minaccia l’Europa: “Ci avete promesso assistenza, ma non state facendo niente e per questo abbiamo aperto da ieri i nostri confini. Circa 18mila rifugiati hanno già attraversato il confine, ed oggi questo numero sarà di 25-30mila; non chiuderemo le nostre porte perché l’Ue deve mantenere la parola data”.
Nelle ultime settimane, infatti, fiumi di persone stanno lasciando la provincia di Idlib, ultima roccaforte in Siria in mano ai ribelli, per dirigersi prima verso la Turchia e poi verso l’Europa. Solamente nella giornata di ieri la Grecia ha fermato oltre 4mila migranti e ora il numero degli arrivi potrebbe aumentare. La situazione in Siria è dunque estremamente complessa, anche perché l’esercito governativo è intenzionato a strappare a ogni costo Idlib alle milizie qaediste che la occupano con l’aiuto dei militari turchi.
L’escalation di Idlib, spiegata
Negli ultimi giorni si è assistito a una pericolosa escalation dopo che alcuni aerei hanno ucciso 36 militari turchi nella zona di Balyun, villaggio situato a sud di Idlib. Tutto è iniziato il 17 febbraio scorso, quando alcuni caccia – secondo la ricostruzione fornita da Al Monitor due Sukhoi Su-34 russi e due Su-22 – hanno cominciato a bersagliare un battaglione di fanteria meccanizzata composta composto da 400 soldati. Iniziano prima gli aerei siriani, che costringono il battaglione a fermarsi, e poi intervengono i caccia russi, che sganciano le bombe Kab-1500l, in grado di penetrare oltre 20 metri, facendo crollare due edifici che lasceranno i militati turchi sotto le macerie. Ma è davvero andata così? Secondo Ahmed Rehal, un giornalista siriano vicino all’opposizione che si trovava non lontano dall’accaduto, sì (almeno in parte): a compiere l’attacco