In questi giorni sono stati diffusi alcuni dati che raccontano, impietosi, lo stato di salute del mondo del lavoro in Ticino e nel resto della Svizzera.
Le persone in assistenza nel nostro cantone sono ormai 8353. Un record.
I frontalieri hanno raggiunto quota 66.316. Un altro record.
I sottocupati sono 17.400. Nel 2010 erano il 30% in meno.
La Svizzera ha la più alta sottoccupazione d’Europa, il doppio rispetto alla media dell’Unione europea: 356 mila persone (il 7,3% della popolazione) vorrebbero lavorare di più, ma non ci riescono. I disoccupati iscritti agli Uffici regionali di collocamento sono 231 mila e altri 243 mila cittadini sono alla ricerca di un lavoro, ma non sono disponibili immediatamente. Siamo a quota 830 mila persone. Un volume mancante di 299 mila posti di lavoro a tempo pieno.
In Ticino, come accennato, va anche peggio. Tre lavoratori a tempo parziale su dieci vorrebbero lavorare di più, ma non riescono a trovare nulla. Molte persone sono già, o sono sulla soglia di diventare, “working poor”, ovvero cittadini che, pur avendo un’occupazione, hanno serie difficoltà economiche. Se poi calcoliamo i disoccupati, chi è in cerca di un impiego, ma non è immediatamente disponibile e le persone disposte a lavorare, ma statisticamente non presenti tra coloro che cercano lavoro, arriviamo a 45 mila persone. Su una popolazione di 350 mila individui, è un’enormità.
C’è di peggio. Quando vengono trasmessi questi dati (le variazioni mensili non modificano il quadro della situazione) ci si dimentica sempre di chi è nella condizione peggiore.
Ovvero, chi dipende dall’aiuto sociale. In Ticino, i cittadini in assistenza sono il doppio di quelli iscritti agli Uffici regionali di collocamento. Detto brutalmente: i dati della SECO, che ci parlano di un tasso di disoccupazione del 2,6% (dati giugno 2019), sono falsati. Perché si riferiscono solo alle persone iscritte gli URC. L’Indicatore dell’Ufficio