Sport, 06 maggio 2019

La buona vecchia Valascia

L’ultimo patrimonio dell’umanità hockeistica

AMBRÌ - Come dice il proverbio: 'una mattonella non fa uno stadio'.

Ne servono molte di più, devo vederle tutte e finché non sarà posata l'ultima non ci crederò. Vorrò anzi toccarla con le mie mani che neanche San Tommaso. Perché alla sola vista, potrebbe trattarsi di una Lombardata, la proiezione ologramma in 3D del suo miraggio. Oppure una scenografia in cartapesta come i villaggi western di Hollywood, che sembrano veri, ma dietro sono tenuti in piedi dai ponteggi. Non quelli dell’attuale Valascia, ormai vera come nessun’altra, piuttosto come quelli della pista provvisoria a Losanna, anche se su quelle impalcature ci saltano in tanti e per un paio d'anni reggeranno i colpi. Sarebbe costato meno montar su un capannone simile e poi cementificarne le tribune man mano che si trovavano i soldi. Perlomeno si poteva fare i modesti stampando una di quelle planimetrie preconfezionate che si trovano sul sito della IIHF, dove c'è anche il modello da seimila posti, anonimo ma sicuramente ben fatto e a buon mercato. Si è invece preferito il fai da te di gran lusso, dal probabile impatto estetico che assicura il nostro Mario Botta international, ma dalla funzionalità che andrà verificata.

Non basta la pennellata del grande artista per scongiurare magagne architettoniche, chiedete a Bellinzona. Probabilmente così andava fatto: puntare in alto con la retorica che in Svizzera è meglio chiedere cento milioni che dieci; nessuno ti prende per pazzo perché tanto prima o poi li trovi. Più poi che prima a questo punto in ritardo decennale, con i balivi della federazione stufi di scambiare concessioni con promesse e rattoppi. I tempi stringono, se non si fa adesso si muore o peggio ancora il popolo biancoblù dovrà emigrare per le partite casalinghe; per esempio alla Corner Arena (ex Resega), pensa che onta! Altro che Castione, al massimo a Zugo dove la pista nuova è realtà da qualche anno. Però quando ci sono entrato la prima volta ho sentito subito la fregatura, il vuoto. In quel gioiellino non manca niente, tranne l'essenziale. Passai la serata con gli occhi puntati al maxischermo sul quale ogni tanto apparivano le immagini storiche dell'EVZ. Mi tornava in mente la vecchia Herti, lo strapiombo della tribuna verticale, che se inciampavi in cima ruzzolavi senza scampo fin giù sul ghiaccio e ti scopavano fuori con le monetine e i bicchieri. Poi le curve contrapposte come trincee, dalle quali i bengala propagavano una “fümera” che si mischiava all'odore di schüeblig, creavano tutta quell'atmosfera che sapeva tanto di hockey svizzero e poco di business. Quella sera nella grande bellezza della Bossard Arena cercai l'anima di un contesto che purtroppo non c'era più; sullo stesso sedime del glorioso impianto vi trovai solo il profumo dei paperoni che l'avevano abbattuto per ricostruirlo asettico.

Lungaggini leventinesi

Allora ben vengano le lungaggini dei poveri leventinesi. La gestazione elefantesca della nuova Valascia ci permette di assaporare ancora per un poco quell'ambiente andato perduto ovunque altrove, eccezione fatta per Friborgo almeno fino alla stagione appena trascorsa. I burgundi hanno iniziato un ammodernamento della Saint Leonard, ma la vera Patinoire sorgeva in Basse-Ville e con la dislocazione negli anni '80 aveva già smarrito buona parte di quella magiache solo l'antico sobborgo suscitava. Mio nonno cresciuto in riva alla Sarine, mi narrava le gesta deiragazzacci scapestrati di quel quartiere, sfrontatezza che tornava buona quando indossavano le maglie del Gotteron e animavano le folle assiepate davanti all'eglise Saint Maurice. Fu proprio lui a portarmi la prima volta alla Valascia;amichevole prestagionale come una sorta di rito iniziatico. Erano i beitempi di Mc Court l'indiano e con simile passo felpato, in cammino sul parcheggio verso gli spalti propriodavanti a noi, la figura inequivocabile del mantello di mio papà.
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Carramba che bella sorpresa, ma non capivo perché non mi aveva portato lui allapartita, motivazioni che oggi alla sua età di allora intendo e condivido benissimo. Poi con l'acquisizione di una relativa autonomia i pellegrinaggi alla Mecca diventarono più frequenti, come quando con la mia banda di tredicenni risalimmo la valle in autopostale per vedere l'Ambrì sollevare la supercoppa europea. In seguito l'assiduità a quella pista divenne quotidiana giocando negli Juniores HCAP, ma non si voglia cogliere una punta di orgoglio autobiografico in questa militanza, visti i rebattoni che rammassavamo in tutti gli angoli dell'altipiano. A dirla tutta perdevamo spesso anche in casa, dove uno sparuto drappello di padri paonazzi e madri congelate assistevano sconsolati sulle tribune deserte. Vuoi la poca gloria, vuoi il freddo nebbioso in serate e mattine di allenamento, nelle quali i bastoni si spezzavano come stalattiti e i polsi vibravano dal male, mi ero man mano disaffezionato a quel posto. Ammetto anche di aver invidiato gli avversari che giostravano in strutture all’avanguardia, come quelli del Kloten; la Schluefweg era già un salotto, spaziosi spogliatoi odoravano di disinfettante.

Luogo di culto

Oggi però quando torno alla Valascia, magari per una discata amatoriale, mi rendo conto di essere ancora profondamente legato a quel luogo di culto. Non come tifoso, ma da cultore di quell'atmosfera hockeistica nostrana, che presto scomparirà per sempre sotto le macerie dell'ultima riserva indiana rimasta. O meglio dell'ultimo villaggio gallico, non ancora conquistato dalla subdola pax dell'imperialismo del puck, come messo in scena qualche anno fa da una magistrale coreografia GBB. Lombardix, gran capo degli irriducibili, in cuor suo sperava di poter rimanere tra le mura storiche alle pendici di quella vallaccia traditrice, che minaccia valanghe e impone un esoso sradicamento. Ha fatto di necessità virtù e sta materializzando un sogno che vuole essere base solida sul quale poggiare la sopravvivenza nell'élite dell'hockey moderno. In Europa la formazione dei giocatori è ancora sotto l'ala protettrice dei maggiori club di ogni nazione. In Svizzera la forza delle categorie novizi e juniores è un indicatore spesso valido per tastare la salute societaria.

Il nuovo impianto dovrà essere anche la culla del rinascimento di un settore giovanile che da troppo tempo arranca in classifica. Il discorso appena accennato meriterebbe un approfondimento, poiché unica vera giustificazione dell'adeguamento ai dettami dello show business, che impongono un investimento da settanta milioni. Non solo nell'ottica di plasmare quel ragazzo su cento che diventerà professionista, ma di garantire agli altri novantanove un percorso sportivo e umano di indubbio valore sociale, purché guidato da formatori autorevoli. Se fosse solo per continuare una favola sempre meno credibile come tale, meglio finire in Prima Lega e andare a Dübendorf in trasferta. In quelle periferie si gioca mica male e il sapore dei bratwürst non è ancora stato soppiantato dal catering dei vip lounges, come invece è successo nei vari Hallenstadion tirati a lucido di recente. Anziché l'eventualità del ridimensionamento, l'inizio dei lavori in zona aeroporto sembrano profilare un futuro prossimo con i piedi ben piantati nel giro delle grandi. Nel batter d'occhio di due anni anche l'Ambrì-Piotta avrà la sua arena scintillante, simile a quelle delle concorrenti battezzate col nome degli sponsor. Intanto però godiamoci senza proiezioni illusorie queste ultime due stagioni nella buona e vecchia Valascia e non pensiamo troppo al domani.

Quando cercheremo il ricordo della mitica catapecchia rattoppata su un qualche maxischermo, e provando a dribblare il vuoto, canteremo a squarcia gola come si è sempre fatto: Ambrì alé, hopp Langnau o forza Lugano.

MATTIA WERNER

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