Mondo, 29 novembre 2018

Stretto di Kerch, i tanti perché della crisi tra Russia e Ucraina

Per avere una chiave di lettura di quanto successo domenica in Ucraina basterebbe aprire una qualsiasi carta geografica della regione: lo scontro navale è avvenuto nello Stretto di Kerch, unico passaggio che mette in comunicazione il Mare d’Azov, dove ci sono centri portuali ucraini anche importanti come Mariupol, con il Mar Nero.

Quel passaggio obbligato è da qualche anno in mano alla Russia. Quando Mosca con un abile colpo di mano si è annessa la Crimea nel 2014, penisola strategica anche per la presenza della base navale di Sebastopoli, l’Ucraina improvvisamente, oltre ad aver perso parte del suo territorio che fa capo a importati riserve di gas e petrolio offshore ancora da stimare con esattezza (dai 4 ai 13 miliardi di metri cubi), ha perso il controllo dello stretto con il pericolo di vedere interdetto il possibile accesso al Mare d’Azov.

Prima del 2014 infatti, quel piccolo braccio di mare era diviso a metà tra l’Ucraina, che possedeva la Crimea quindi la parte occidentale dello Stretto, e la Russia che possedeva solo quella orientale facente parte dell’Oblast di Krasnodar.

Il colpo di mano (militare) russo che ha portato all’annessione della Crimea, propagandato da Mosca come un moto spontaneo popolare di ritorno alla madre patria se non fosse per i reparti speciali – in incognito – inviati dal Cremlino a occupare gli snodi strategici della Crimea come porti e aeroporti (vi ricordate gli “omini verdi”?), ha improvvisamente messo Kiev nella spiacevole situazione di avere un Paese ostile che controlla un accesso marittimo vitale per la propria sopravvivenza: dal Mare d’Azov, infatti, passa la stragrande maggioranza del grano ucraino esportato.

La costruzione del ponte che collega la Crimea all’Oblast di Krasnodar, è stata occasione di accesa polemica internazionale in quanto l’Ucraina ha accusato la Russia di averlo costruito “troppo basso” per bloccare il passaggio alle più grandi navi che operano dal porto di Mariupol. La Russia, in effetti, non ha porti così importanti nel Mare d’Azov avendo le proprie basi altrove: Sebastopoli e Novorossijsk sono rispettivamente il centro militare principale e quello per l’esportazione del grano russo nel Mar Nero.

La crisi di domenica scorsa, con unità della Guardia Costiera russa che hanno sparato all’indirizzo di un paio di cannoniere classe Gyurza-M ed un rimorchiatore che le accompagnava nell’attraversamento dello Stretto, era pertanto solo questione di tempo.

La versione russa

Secondo quanto riportano i media russi, la Guardia Costiera sarebbe entrata in azione in quanto le unità ucraine avrebbero “violato le acque territoriali russe” ed in particolare si lamenta che l’Ucraina non avrebbe avvisato le autorità russe del passaggio del naviglio nello Stretto di Kerch. L’Fsb, il servizio di sicurezza della Russia erede del Kgb, sostiene che quella ucraina è stata una “chiara e orchestrata provocazione” e che presto saranno fornite prove inconfutabili in merito. Le unità navali ucraine sono state abbordate e poste sotto sequestro ed i loro equipaggi, tra cui si lamentano almeno due feriti, sono trattenuti in custodia.

La risposta ucraina

Le ore immediatamente successive all’accaduto sono state frenetiche e caratterizzate da un’altissima tensione a Kiev. Il Presidente Poroshenko ha convocato il consiglio di sicurezza d’urgenza che ha poi decretato come unica misura – per il momento – la legge marziale nelle province ucraine che confinano con la Russia, col mare e con la repubblica moldava ribelle filorussa della Transnistria.

La decisione è al momento l’unica possibile: l’Ucraina non può permettersi un’escalation militare nella zona in quanto gli asset russi presenti sono più che sufficienti ad infliggere gravi perdite in caso di un tentativo di ritorsione ucraino manu militari.

Mosca, infatti, in questi anni ha avuto tutto il tempo di “blindare” la Crimea dove è presente una bolla A2/AD che copre tutto il Mar d’Azov e si estende lungamente anche nel Mar Nero. La sua flotta, che ha sede a Sebastopoli, è sicuramente molto più nutrita, sebbene non molto più moderna, rispetto a quella Ucraina: Kiev infatti sta facendo ricorso ai suoi alleati occidentali della Nato per garantire la sicurezza delle proprie linee di navigazione e soprattutto, punto sul quale torneremo più avanti, il diritto transito e libera navigazione.

Lo stato di assedio è quindi, per il momento, l’unica forte risposta che può dare Kiev e sottolinea in particolare il suo timore rispetto ai possibili tentativi di infiltrazione di corpi speciali russi che potrebbero dedicarsi al sabotaggio o, come avvenuto anche in Donbass e Crimea, all’organizzazione di moti di protesta della comunità russofona. Questo timore è infatti spiegato dalla particolare disposizione geografica in cui è attiva la legge marziale che, lo ricordiamo, non vige su tutto il territorio dell’Ucraina ma solo su 10 regioni di confine.

Chi ha ragione?

La domanda, in fondo, è sempre la stessa: chi ha ragione? Il diritto marittimo internazionale codificato nel Losc (Law Of the Sea Convention) parla chiaro: interdire l’accesso a mari non considerati interni come quello d’Azov è
una violazione importante alla libertà di navigazione. L’Ucraina ha diritto di passaggio lungo lo Stretto di Kerch appunto perché ha un confine marittimo che si estende sul Mare d’Azov e la Russia, che proditoriamente si è impossessata del controllo dello stesso, non può interdire il passaggio a qualsiasi tipo di unità navale se non in caso di aperta ostilità, ovvero in guerra. Russia che, peraltro, è firmataria del trattato.

Sempre secondo il diritto internazionale la richiesta russa di “permesso” per il passaggio attraverso le proprie acque territoriali è del tutto illegale, ma in questo la Russia è in buona compagnia in quanto anche la Cina adotta la medesima politica per le acque contigue all’arcipelago delle Spratly nel Mar Cinese Meridionale.

Una regolamentazione internazionale che ricorda molto quella della Convenzione di Montreux (1936) riguardante il transito di naviglio lungo gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli ed ancora vigente, sebbene questa sia applicabile solo al caso turco in quanto possiede delle clausole molto particolari per salvaguardare sia il diritto di navigazione sia la sicurezza della Turchia.
Del resto Kiev avrebbe diritto di passaggio, così come chiunque altro, comunque trattandosi di uno stretto che mette in comunicazione due mari.

Già durante la Guerra Fredda si sono avuti “incontri ravvicinati” – ma sarebbe meglio dire “scontri ravvicinati” – tra unità navali americane e sovietiche proprio nel Mar Nero. In più di una occasione, infatti, cacciatorpediniere e fregate americane sono state speronate da unità navali sovietiche mentre cercavano di far valere il diritto di libera navigazione e in particolare il diritto di una unità navale di navigare sulla rotta più breve possibile.

Quali sono i possibili scenari futuri?

Oggettivamente l’escalation militare è uno dei possibili scenari anche se, al momento resta quello fortunatamente più lontano dal vedersi realizzato. La causa determinante è la stessa natura dei contatti tra Russia e Ucraina che non sono mai stati di decisa rottura e la debolezza intrinseca delle Forze Armate ucraine che, come abbiamo già avuto modo di dire, non resisterebbero ad un diretto attacco russo. Fattore destabilizzante, in questo senso, è però l’alleanza di Kiev con la Nato che infatti, oltre a effettuare esercitazioni militari in Ucraina, provvede anche a fornire quella copertura navale che le manca.

Giusto pochi giorni prima dell’incidente dello Stretto di Kerch il Ministero della Difesa inglese aveva comunicato che avrebbe dispiegato la nave da ricerca idrografica Hms Echo nel Mar Nero in “supporto al mantenimento della libertà di navigazione della regione”, mentre ad oggi girano voci della partenza di una fregata inglese verso il porto di Odessa.

La questione infatti non è solo “ucraina” ma internazionale, in quanto cedere sul principio della libertà di navigazione in Crimea significherebbe poi dare un brutto segnale per il Mar Cinese Meridionale dove ci sono all’incirca le stesse dinamiche in ballo, se pur in un gioco molto più ampio.

Ad oggi gli Stati Uniti sembrano essere rimasti abbastanza tiepidi in merito all’incidente come si evince dalle dichiarazioni del Presidente Trump che, sottotraccia, inviata l’Europa a sbrigare la questione e questo potrebbe essere più che un segnale di apertura verso Mosca del progressivo disinteresse di alcuni scacchieri globali da parte degli Stati Uniti, forti della politica “America first” che tende più a delegare la definizione di diatribe internazionali pur mantenendone fermamente le redini diplomatiche.

Siamo però convinti che Washington stia solo prendendo tempo e che non tarderà ad effettuare una mossa di tipo militare, come ad esempio facendo entrare una portaerei nella regione di competenza della Sesta Flotta.

Sicuramente la mossa di Poroshenko di applicare la legge marziale riflette anche la sua debolezza politica interna che dipende molto dalla debolezza intrinseca dell’Ucraina (e va letta anche in chiave elettorale), però rappresenta comunque un primo passo verso una possibile soluzione militare della crisi, se pur, come è stato specificato nel comunicato annesso alla decisione, la mobilitazione delle Forze Armate ci sarà solo in caso di attacco russo al territorio ucraino. Parole abbastanza aleatorie in quanto anche il colpo di mano del 2014 potrebbe giustamente leggersi in questo senso.

Uno scenario futuro che temiamo sia più di una mera possibilità sarà, invece, la chiusura dei rubinetti del gas che dalla Russia attraversano l’Ucraina e giungono in Europa proprio come già avvenuto nel recente passato. Una ritorsione di questo tipo è facilmente attuabile e porterebbe l’attenzione della distratta Europa sul caso ucraino.

Difficilmente l’incidente cadrà nel dimenticatoio in quanto dal 2014 l’Ucraina è andata sempre più legandosi alle sorti della Nato, proprio quello che Putin non voleva ma che ha accelerato con l’annessione della Crimea, e parallelamente la Russia, alle prese con le sanzioni e con l’accerchiamento da parte dell’Alleanza Atlantica percepita – forse non a torto – sempre più vicina ai suoi confini, non può permettersi di “perdere la faccia” per colpa di Kiev.

(Via gliocchidellaguerra.it)

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