Opinioni, 09 novembre 2025

La croce e il velo islamico

Il Tribunale federale favorisce i simboli islamici anziché quelli cristiani

Come la grande Oriana Fallaci, mi definisco un ateo-cristiano. Sembra una contraddizione ma non lo é. Non credo nell’esistenza di un Dio, e dunque dal punto di vista religioso sono ateo. Ma sono nato e cresciuto in un Paese cristiano, e quindi volente o nolente la mia cultura è impregnata dalla religione cristiana. Per questo motivo non mi dà fastidio vedere una croce, che considero un simbolo universale di amore per il prossimo, perché Gesù si è fatto crocifiggere per redimere dai peccati tutta l’umanità. Mi dà invece fastidio vedere il velo islamico, simbolo di sottomissione della donna all’uomo e stendardo propagandistico di una religione che predica odio e violenza verso tutti gli infedeli e che su indicazione dello stesso Maometto (“colui che cambia religione, uccidetelo”) prevede di punire con la morte gli apostati, ossia quei musulmani che si convertono ad altre religioni o che si professano atei. Una regola barbara, quest’ultima, che oltre a cozzare contro la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo si scontra pure con la nostra Costituzione federale, la quale all’articolo 15 sancisce che “la libertà di credo è garantita” e che “ognuno ha il diritto di scegliere liberamente la propria religione”.

Due pesi, due misure

E allora qualcuno mi deve spiegare perché nel nostro Paese cristiano in nome della laicità della scuola non si può esporre un crocifisso nelle aule scolastiche per non offendere la sensibilità religiosa di allievi e genitori dalle convinzioni diverse (sentenza del Tribunale federale del 26 settembre 1990) e invece, in nome della libertà religiosa, non sia possibile proibire alle allieve musulmane di sfoggiare in classe il velo islamico, come ripetutamente ha avuto modo di sentenziare lo stesso Tribunale federale. Forse che il velo non è suscettibile di offendere la sensibilità religiosa di allievi e genitori, e anche ben più del crocifisso che simboleggia pur sempre la religione dominante nel Paese? E perché favorire un simbolo dell’islam politico che per molti aspetti è in conflitto con la Costituzione e con altre norme svizzere, come ben ha dimostrato l’esperto islamologo Sami Aldeeb – un palestinese cristiano che vive presso Losanna - nel suo libro “Comparazione tra norme svizzere e norme musulmane”? Per inciso, nel 2021 di questo libro avevo fatto omaggio ai dieci deputati ticinesi che allora sedevano nelle Camere federali, ai nostri cinque Consiglieri di Stato e a una quindicina di giornalisti. Ha proprio ragione la musulmana zurighese di origine tunisina, Saïda Keller-Messahli, fondatrice nel 2004 di un Forum per un islam progressista e strenua avversaria di ogni tipo di velo islamico, la quale nel suo libro “La Suisse plaque tournante de l’islamisme” ha accusato senza mezzi termini i politici di aver troppo a lungo non solo trascurato la diffusione dell’islamismo in nome dei diritti dell’uomo ma di averlo deliberatamente ignorato, anziché praticare una politica di tolleranza zero nei confronti degli islamisti e delle loro rivendicazioni.

Occorre una norma nazionale

Recentemente il Consiglio federale ha risposto negativamente a un postulato del Parlamento che gli chiedeva di valutare l’introduzione di una norma legale per vietare il velo negli asili e nelle scuole alle allieve al di sotto dei 16 anni. A giustificazione della sua decisione il Governo ha detto che in base alla Costituzione il settore scolastico e il disciplinamento dei rapporti tra Chiesa e Stato competono ai Cantoni. E in effetti in alcuni Cantoni vi sono stati dei tentativi di vietare il porto del velo islamico da parte delle allieve, o, in modo più neutrale, di vietare qualsiasi tipo di copricapo in classe. Ma tutti questi tentativi sono stati bocciati dal Tribunale federale, che li ha considerati contrari alla libertà religiosa e dunque anticostituzionali. E allora cosa si aspetta a modificare la Costituzione o a varare una norma nazionale che garantisca una reale maggiore competenza in questo settore ai Cantoni? Nelle scorse settimane il Comitato di Egerkinger, lo stesso che in passato aveva lanciato con successo le iniziative popolari per vietare la costruzione di minareti e per vietare la dissimulazione del volto in pubblico, ha annunciato l’intenzione di presentare un’iniziativa parlamentare avente lo scopo di elaborare una regolamentazione legale a livello nazionale per vietare il velo islamico a insegnanti e allieve negli asili e in tutti gli ordini scolastici dalle elementari alle università. Staremo a vedere, anche se forse un’iniziativa popolare costituzionale avrebbe più speranze di successo. Nel frattempo a livello cantonale rimane pur sempre la possibilità di introdurre norme per vietare almeno ai docenti l’ostentazione di simboli religiosi, visto che su questo punto il Tribunale federale aveva già chiarito, con una sentenza del 1997 riguardante un caso nel Canton Ginevra, che a determinate condizioni è possibile vietare ad esempio a una docente di indossare il velo islamico.



Gli esempi di Francia e Austria

Da notare che in Francia già dal 2004 è in vigore una legge che vieta l’ostentazione di simboli religiosi nelle scuole, anche da parte degli allievi. Questa decisione era stata presa principalmente proprio nell’intento di mettere un argine alla crescente diffusione del velo islamico (una diffusione messa in evidenza in un rapporto di 37 pagine, noto come “Rapport Obin”, pubblicato integralmente sul sito del Guastafeste e la cui lettura è caldamente raccomandata ai politici, ai giudici e ai giornalisti: http://ilguastafeste.ch/obin.pdf). A suo tempo la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) aveva respinto il ricorso di due allieve musulmane che in nome della libertà di religione avevano contestato tale divieto. E allora, v’è da chiedersi, se per la CEDU è possibile vietare il porto di simboli religiosi da parte degli allievi delle scuole francesi, perché per il nostro Tribunale federale non si può fare? Anche il Governo austriaco, nelle scorse settimane, ha varato un disegno di legge mirante a proibire il porto del velo islamico alle alunne della scuola dell’obbligo (pubblica e privata) fino all’età di 14 anni. Un analogo divieto, deciso nel 2019, era stato bocciato dalla Corte costituzionale perché considerato discriminatorio nei confronti di altre religioni, come ad esempio quella ebraica. E non si sa ancora se questa volta i giudici l’approveranno. Ma almeno il Governo austriaco, a differenza di quello svizzero, dimostra di aver capito che nella nostra società tutte le ragazze devono avere le stesse opportunità e che la tolleranza dimostrata finora in parecchi Paesi europei verso il velo, imposto da genitori islamisti alle bambine già a partire dall’asilo, ha prodotto effetti disastrosi sul piano dell’integrazione.

Una petizione respinta nel 2010

Per concludere ribadisco che se in nome della laicità il Tribunale federale ha deciso che nelle aule scolastiche non v’è posto per le croci, allora a maggior ragione anche il velo islamico dovrebbe essere bandito dalla scuola dell’obbligo, frequentata da allieve minorenni e dunque facilmente influenzabili. Ed è da un pezzo che lo sostengo. Difatti già l’11 gennaio 2010 avevo presentato al Gran Consiglio una petizione con la quale chiedevo di vietare il velo islamico nelle scuole dell’obbligo. Il 9 novembre dello stesso anno il Parlamento bocciò la petizione, con la poco lungimirante motivazione che il problema non esisteva, perché non si segnalavano casi di bambine velate alle elementari, e su 13.169 allieve che frequentavano le scuole medie, le medie superiori e quelle professionali se ne contavano solo 10 (già, ma il confronto andava semmai fatto unicamente con le allieve musulmane, che allora erano verosimilmente solo 200-300). Sarebbe interessante sapere quale esito darebbe oggi un simile sondaggio…

Una porta spalancata per i crocifissi

Rileggendo in questi giorni la sentenza del Tribunale federale del 1990 (relativa al Comune di Cadro) secondo cui l’esposizione dei crocifissi nelle aule scolastiche ledeva la neutralità confessionale dello Stato prevista dalla Costituzione, la mia attenzione è stata attirata dalla seguente considerazione finale : “Il giudizio sarebbe forse stato diverso ove si fosse trattato di statuire sulla presenza del crocifisso nei locali scolastici adibiti ad uso comune, come ad esempio l’atrio, i corridoi, il refettorio o, evidentemente, dove esistano, il locale destinato al culto o l’aula nella quale viene impartito l’insegnamento facoltativo della religione” . Interessante, vero? Ma c’è di più. Con sentenza del 18 marzo 2011 la CEDU (nel caso Lautsi contro l’Italia), aveva stabilito che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche pubbliche non viola il diritto all'istruzione, poiché non costituisce indottrinamento forzato e lo Stato deve avere la libertà di mostrare la cultura maggioritaria. E allora, cristiani ticinesi, uscite dal letargo e in barba alle autolesioniste e superate decisioni dei giudici federali battetevi per far rientrare i crocifissi nelle aule scolastiche e per espellere i veli islamici!

Giorgio Ghiringhelli 

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