SVIZZERA - La casta eurolecchina ha trovato nei dazi di Donald Trump (39% contro la Svizzera) il pretesto perfetto per rilanciare la propaganda filo-Bruxelles. Ma i balzelli americani non sono scolpiti nella pietra: si tratta di misure negoziabili, a differenza dell’accordo di sottomissione con l’UE, che imporrebbe ripresa dinamica del diritto comunitario, giudici stranieri e burocrazia di Bruxelles. Un costo plurimiliardario e definitivo.
Emblematico il caso della presidenta Karin Keller-Sutter: prima osannata come salvatrice grazie a una presunta telefonata con Trump, poi accusata di aver causato l’esorbitante dazio del 39% con un’altra chiamata. Versioni romanzate, ma che mostrano lo squallore partitocratico. Intanto una Corte d’appello federale ha già dichiarato illegali i dazi, aprendo a un ricorso davanti alla Corte Suprema.
Il problema con gli USA non nasce con Trump: già Obama demolì il segreto bancario, causando la perdita di migliaia di posti in Ticino. Eppure, allora, nessuno strillò contro il presidente “di sinistra”. Da due decenni, la Svizzera non sa costruire relazioni solide a Washington: un deficit che oggi paghiamo caro.
Le opzioni non mancano: continuare a negoziare con l’amministrazione americana, fare lobbying su singoli prodotti, diversificare i partner commerciali, usare come leva l’acquisto degli F-35 e correggere l’applicazione della tassazione minima OCSE che ha danneggiato la piazza svizzera. L’unica via suicida sarebbe legarsi mani e piedi all’UE, trasformandoci nel suo bancomat.
Fonte: Lorenzo Quadri, Il Mattino della Domenica