Ticino, 03 maggio 2025

Svizzera condannata dalla CEDU, un criminale espulso dal Ticino sarà risarcito

Quell'uomo non andava espulso, secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo. In una sentenza pubblicata il 2 maggio, e ripresa dal Corriere del Ticino, la CEDU bacchetta la giustizia svizzera e ticinese sul caso di un criminale kosovaro che per 16 anni, a suon di ricorsi, ha cercato di rimandare il più possibile la sua espulsione dalla Svizzera. L'uomo in questione era stato infatti condannato quasi 16 anni fa dalla Corte delle assise correzionali a una pena detentiva di due anni e due mesi, di cui 12 mesi da espiare e i rimanenti 14 sospesi, per aver partecipato a un pestaggio avvenuto nell’ottobre 2008 a Lugano. Preso atto della condanna, la Sezione della popolazione gli revoca quindi il permesso di domicilio. Da allora, per anni, l'uomo ritarda l'allontamento dal Ticino ricorso dopo ricorso, fino a due anni fa quando viene finalmente espulso.

Per giustificare la necessità di rimanere in Svizzera l'imputato aveva anche messo in avanti un problema di salute, attestato nel 2016 da una perizia medica e confermato nel 2023 da uno specialista ticinese in chirurgia. In alcuni casi, il Tribunale federale accoglie i ricorsi e ordina nuovi accertamenti circa il suo stato di salute. Ma alla fine, le autorità cantonali gli intimano di lasciare la Svizzera nel giugno del 2023 e la Segreteria di Stato della migrazione emana un divieto di entrata valido tre anni e iscritto nel SIS, ossia il sistema di visti Schengen, ciò che ostacola la sua possibilità di entrare in un Paese dell’UE per farsi curare. Uno specialista kosovaro conferma inoltre che un’adeguata presa a carico in Kosovo non è possibile. A quel punto, l'uomo, tramite il suo legale, si rivolge alla CEDU.



La CEDU quindi, come detto, bacchetta la Svizzera. I Tribunali elvetici, per esempio, hanno spesso concluso che Arlind “non ha mai svolto una reale ed effettiva attività lucrativa (eccetto alcuni mesi nel 2009) e non è mai stato finanziariamente autonomo”. La Corte europea ha invece fatto notare che “la mancanza di occupazione e di integrazione nel mercato del lavoro è dovuta proprio alla revoca del permesso di soggiorno, che gli ha vietato di lavorare tra il 2009 e il 2023”. Quanto alla preoccupazione espressa dalle autorità ticinesi e svizzere “che tali situazioni possano incoraggiare i cittadini stranieri a prolungare il loro soggiorno per regolarizzare il loro status”, i giudici di Strasburgo hanno stabilito che “il richiedente non può essere ritenuto responsabile per aver esercitato i rimedi legali disponibili”. La Corte europea ha infine ordinato alla Svizzera di risarcire Arlind con 4 mila euro per torto morale, più altri 15 mila per le spese giudiziarie.

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