Tutti sanno che in Svizzera è possibile presentare delle petizioni alle autorità comunali, cantonali o federali. Ma pochi conoscono bene le regole che disciplinano l’esercizio di questo diritto, sancito dalla Costituzione federale (art. 33) e da quella ticinese (art. 8 lettera L). Nella Costituzione ticinese si specifica ad esempio che i petizionisti hanno il diritto “di ottenere risposta entro un termine ragionevole”. Quella federale si limita invece a precisare che le autorità interpellate sono tenute a prendere atto della petizione, ma non dice se esse hanno l’obbligo di rispondere. Tuttavia, di norma, una risposta viene data all’autore, come vien assicurato sul sito internet della Confederazione, nella pagina della Cancelleria federale riservata ai diritti politici e in particolare alle petizioni (www.bk.admin.ch/content/bk/it/home/diritti-politici/petizioni.html).
Basta la firma di una persona
Varie sono le informazioni che si possono leggere in quella pagina. Le petizioni, a differenza delle iniziative popolari e dei referendum, non hanno un valore giuridico, e non hanno esigenze formali da rispettare: possono essere presentate su carta o online e possono essere sottoscritte anche da minorenni, da stranieri e perfino da persone residenti all’estero; per la loro validità non è previsto un termine di consegna, e, ciò che pochi sanno, neppure un numero minimo di firme. Quindi ogni cittadino potrebbe presentare a una qualsiasi autorità una petizione con la sua sola firma, e ottenere una risposta. Posso confermarlo per esperienza personale. Ecco qualche esempio. Il 7 novembre 2004 presentai al Consiglio federale una petizione intitolata “Sostituzione delle tasse cantonali di circolazione con tasse sulla benzina”: la risposta giunse già un mese dopo. Il 10 settembre 2024 presentai al Consiglio federale una petizione intitolata “Ucraini maschi in Svizzera: rifugiati o disertori?”, e anche in questo caso la risposta giunse dopo un mese. Il 13 febbraio 2025 inviai al Dipartimento degli affari esteri una petizione intitolata “La Svizzera chieda la liberazione di Boualem Sansal, prigioniero politico in Algeria”, e la risposta giunse il 2 aprile. Non credo che vi sia un altro Paese al mondo in cui un Governo si dia la pena di rispondere, e per di più in tempi brevi, a una petizione sottoscritta da una sola persona, e di ciò dovremmo andarne fieri. Da notare che le petizioni inviate al Consiglio federale vengono pubblicate sul sito della Confederazione, ma solo con il consenso di chi le ha presentate, con l’indicazione del titolo, del nome dell’autore e della data di deposito (ma senza il testo): in totale ne sono state pubblicate 45 nel 2023 e 44 nel 2024.
Le petizioni all’Assemblea federale
La Cancelleria federale prende in consegna le petizioni indirizzate al Consiglio federale e trasmette il testo (senza le firme, ma indicando il loro numero) al dipartimento competente. Quelle rivolte all’Assemblea federale vengono invece presentate per esame alle competenti commissioni del Consiglio degli Stati e del Consiglio nazionale, le quali decidono se dar seguito alla petizione (per mezzo di un’iniziativa parlamentare o di un intervento) o se proporre alla propria Camera di non darle seguito. La procedura è dunque più lunga. I presidenti delle commissioni possono però rispondere direttamente alle petizioni quando l’obiettivo da esse perseguito non può essere realizzato con un’iniziativa parlamentare, oppure quando il loro contenuto è fuorviante, querulomane o offensivo. Di tale procedura ho avuto un’esperienza diretta quando, il 29 settembre 2017, presentai all’Assemblea federale una petizione corredata da 1500 firme raccolte online, con la quale si chiedeva di proibire i movimenti islamisti in Svizzera. Il 15 marzo del 2018 il Consiglio degli Stati bocciò tacitamente la proposta. Il 28 settembre 2018 il Consiglio Nazionale, seguendo la proposta commissionale, decise, con 125 voti contro 68, di “archiviare” la petizione. Un resoconto più dettagliato è pubblicato sul sito del Guastafeste (www.ilguastafeste.ch/consiglionazionalerespingepetizione.pdf).
Petizioni utili anche se bocciate
Una petizione – si legge nel sito della Confederazione – può assumere la forma di domanda, suggerimento o reclamo, e può riguardare qualsiasi attività dello Stato o qualsivoglia aspetto della vita quotidiana, e ovviamente va presentata alle autorità nei confronti delle quali i firmatari hanno una pretesa e che hanno la competenza di intervenire sull’oggetto in questione. In materia di petizioni ho accumulato una certa esperienza, grazie alle 22 petizioni presentate al Gran Consiglio dal 2003 al 2016, quasi tutte con la mia sola firma. Ricordo ad esempio quella che chiedeva di vietare il velo islamico nelle scuole dell’obbligo (2010) o quella che chiedeva di proibire le preghiere rituali islamiche negli spazi pubblici (2018). Tutte furono bocciate, tranne quella presentata nel 2018 con la quale chiedevo di indirizzare alle Camere federali la richiesta di concedere asilo politico in Svizzera alla signora Asia Bibi, una cristiana di nazionalità pakistana che nel suo Paese era stata incarcerata per 9 anni con l’accusa di blasfemia verso l’islam. Confesso che in qualche occasione, pur sapendo che la petizione sarebbe stata bocciata, la presentavo ugualmente giusto per prendere nota degli argomenti contrari e per vedere chi la sosteneva, ricavandone in tal modo utili informazioni prima di trasformare la petizione in un’iniziativa popolare. Applicai ad esempio questa strategia per la mia ultima iniziativa intitolata “Le vittime di aggressione non devono pagare i costi di una legittima difesa” approvata dal Popolo in seconda battuta nel 2021 dopo che il Tribunale federale, accogliendo un ricorso del sottoscritto, aveva annullato la prima votazione.
Un contributo alla soluzione di problemi
Ed ecco, per concludere, cosa scriveva Eros Ratti, già responsabile dell’Ispettorato dei Comuni (oggi Sezione degli enti locali) nel suo monumentale manuale-commentario “Il Comune”: “Dal punto di vista della sostanza la petizione deve comunque e in ogni caso tendere al raggiungimento di un obiettivo ben delineato; obiettivo che deve comportare, per il suo raggiungimento, una decisione di competenza da parte dell’autorità a cui la petizione è indirizzata. Il fine ultimo di una petizione è appunto quello di sollevare un problema specifico, di chiaro interesse pubblico, affinché l’autorità costituita possa seriamente e concretamente occuparsene. Sarebbe veramente un non senso usare del diritto di petizione per sollevare problemi utopici (…). La petizione deve essere vista e considerata non già – come capita purtroppo ancora sovente – come una critica aperta verso l’autorità e il suo operare, ma quale contributo positivo del cittadino alla soluzione dei problemi della comunità”.
Giorgio Ghiringhelli