LUGANO – “Reparto misto”, così viene chiamato l’undicesimo piano dell’Ospedale Civico di Lugano. Un nome che suona neutro, quasi tecnico, ma che nasconde – almeno secondo una testimonianza raccolta dal Mattino della Domenica – una realtà da incubo. Pazienti infettivi, psichiatrici, geriatrici e post-operatori convivono in spazi angusti, tra urla notturne, paura e promiscuità.
La protagonista del racconto è una donna ticinese di 63 anni (nome di fantasia: Caterina), ricoverata per un’operazione alla schiena. Educata, composta, non certo incline a polemiche gratuite. Eppure ciò che ha vissuto l’ha segnata al punto da spingerla a denunciare apertamente quanto accaduto.
“Mi aspettavo cure, ho trovato il caos”
Operata per una vertebra danneggiata, Caterina si è ritrovata confinata per 48 ore in stanza con una paziente affetta da virus intestinale. Le avevano detto che doveva muoversi, camminare, riattivare la muscolatura. Ma le è stato imposto di restare chiusa in isolamento. “Ho avuto paura per giorni”, racconta.
Il reparto “misto” ospita anche pazienti psichiatrici. “Uno urlava, un altro parlava da solo, una cercava di entrare nella mia stanza. Nessuno li sorvegliava”, denuncia la donna. A peggiorare il tutto, un capoturno che, di fronte alle sue lamentele per l’impossibilità di riposare, le avrebbe risposto testualmente: “Se non le sta bene, può anche andare a casa”.
Infermieri sotto pressione, ma umani
Caterina non punta il dito contro tutto il personale: “Le infermiere erano gentili, mettevano il cuore. Ma erano chiaramente sotto pressione”. Il problema, secondo lei, è strutturale: promiscuità, mancanza di sorveglianza, disorganizzazione. Persino prima dell’intervento, nella presala operatoria, ha notato personale sorseggiare caffè “come se fosse una pausa in ufficio”, mentre lei era distesa, tesa e impaurita.
Il silenzio dopo la denuncia
Alla dimissione, Caterina compila con precisione il questionario sulla qualità della degenza. Scrive tutto: disagi, comportamenti, paure. Ma da allora, silenzio. Nessuna telefonata, nessuna mail, nessun riscontro. La direzione dell’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC) ha risposto sì, ma ai giornalisti, non alla paziente. Una risposta burocratica, anonima, priva di empatia. “Mi aspettavo almeno un ‘ci dispiace’. L’indifferenza è ciò che ferisce di più”, confessa Caterina.
“Salite all’undicesimo piano. Ma restateci una notte”
Il messaggio finale è forte: “Dividete i reparti. Valorizzate il personale. Formate i capoturno all’ascolto. E voi, dirigenti dell’EOC: salite all’undicesimo piano. Ma restateci una notte. Poi ne riparliamo.” La direzione dell’EOC, contattata dalla stampa, ha affermato che “per quanto riguarda l’evento citato, tutto risulta essere avvenuto secondo le procedure”, ma ha comunque promesso ulteriori verifiche.
Resta una domanda: se questa è la routine, allora qualcosa nella nostra sanità pubblica va ripensato. E in fretta.
Fonte MDD, 18.5.2025