Diminuiscono gli svizzeri in assistenza ma aumentano gli stranieri, in particolare i richiedenti l’asilo e le persone ammesse provvisoriamente, l’85% delle quali vive sulle spalle dello Stato, in aumento rispetto al 78% dell’anno precedente. È questo il principale risultato dell’annuale rapporto sull’aiuto sociale stilato dall’Ufficio federale di statistica. Un rapporto nel quale si possono scoprire diversi dati interessanti (o inquietanti), per esempio che i cittadini di certi paesi africani restano in maggioranza in assistenza anche dopo parecchi anni dal loro arrivo in Svizzera e che il principale motivo per il quale i rifugiati escono dall’assistenza non è perché trovano lavoro ma perché passano al beneficio di altre rendite. Se qualcuno è ancora convinto che i migranti servono a sopperire alla presunta carenza di manodopera nel nostro mercato del lavoro, vada pure a leggersi tutto il rapporto, troverà di che ricredersi!
Sono ormai la maggioranza
Ma partiamo dal primo dato, ovvero il calo degli svizzeri in assistenza. Ormai gli svizzeri sono solo una minoranza (il 47,6%) dei beneficiari di assistenza, sovrastati da una maggioranza di stranieri (il 52,4%). Il sorpasso è avvenuto durante la pandemia e non sembra ormai più esserci modo di invertire i rapporti di forza. Gli stranieri si pappano una fetta sempre maggiore di un aiuto che agli inizi era riservato ai soli cittadini svizzeri. Un aiuto che in teoria era stato pensato per sopperire alle necessità della popolazione locale ma che in pratica si è trasformato in una macchina per finanziare vizi e stravizi dei migranti di mezzo mondo. I principali beneficiari, in termini numerici, sono gli eritrei. Ben 23.641 cittadini del paese africano sono dipendenti dall’aiuto sociale, addirittura più degli italiani. Se si considera che gli eritrei in Svizzera sono circa 40.000 e che molti di loro sono qui da lungo tempo, si evince che la loro integrazione nel mercato del lavoro è piuttosto scarsa, visto che oltre la metà degli eritrei resta tutto il giorno a casa in pigiama e pantofole ad attendere che gli svizzeri versino loro la consueta rendita.
I siriani tornino pure a casa
Interessante è anche il caso dei siriani, che secondo qualcuno metterebbero in difficoltà l’economia elvetica qualora dovessero decidere di tornare nel loro Paese a seguito della caduta di Assad (tanto lo sappiamo tutti che non lo faranno mai). Ebbene, potremmo iniziare a regalare un biglietto di sola andata per Damasco a quei 9.901 siriani che dipendono dall’assistenza pubblica, oltre un terzo dell’intera comunità ospitata in Svizzera, il che non significa che gli altri lavorino visto che spesso sono al beneficio di altre forme di mantenimento. Un’eventuale e auspicabile partenza in massa dei siriani non sarebbe quindi affatto un danno per l’economia bensì un sollievo per le casse statali, che si ritroverebbero con diecimila persone in meno da mantenere.
“Forte dipendenza tra i nuovi arrivati”
Tutte persone che – non si preoccupi la sinistra – verrebbero prontamente rimpiazzate dai nuovi migranti economici che sfondano le nostre porte travestiti da richiedenti l’asilo. Tutta gente che nella maggioranza dei casi non ha alcuna intenzione di rimboccarsi le maniche e cercarsi un lavoro ma preferisce starsene in panciolle negli alloggi gentilmente messi a disposizione dai contribuenti elvetici. I dati sono inequivocabili. L’UST evidenzia che l’anno scorso il tasso di dipendenza dall’aiuto sociale nel settore dell’asilo è cresciuto dal 77,9% all’84,6%. “Ciò è dovuto principalmente all’aumento del numero di nuove domande di asilo (+23,3% rispetto al 2022) e alla forte dipendenza dall’assistenza sociale tra i nuovi arrivati”, scrive l’UST come se si trattasse di una semplice constatazione scientifica. Invece è qui il vero nocciolo della questione, perché serve davvero a poco impegnarsi per reintegrare nel mercato del lavoro le persone in assistenza se poi si continuano a importarne a migliaia di nuove. Certo, è una buona notizia che l’anno scorso il tasso di assistenza tra gli svizzeri sia sceso al 2,8%, nonostante l’aumento del costo della vita e la conseguente perdita di potere di acquisto abbiano messo in difficoltà non poche famiglie. Ma non è assolutamente una buona notizia il continuo aumento di beneficiari stranieri.
Pochissimi trovano un lavoro
Che senso ha continuare a mantenere oltre 4.000 somali, più di 2.000 congolesi, più di 19.000 turchi, oltre 20.000 afghani, circa 4.000 iracheni, quasi 3.000 iraniani, oltre 1.500 tunisini, più di 2.000 brasiliani, più di 3.500 srilankesi e persino 1.269 cinesi? Se tutte queste persone non riescono a mantenersi in Svizzera, possono benissimo tornare al loro paese, dove basterà loro una piccola frazione di quanto percepiscono qui per condurre una vita più che dignitosa.
Tanto più che buona parte di queste persone non ha alcuna intenzione di rimboccarsi le maniche e provare a integrarsi nella nostra società. Lo dimostra la statistica sui motivi dell’uscita dall’assistenza degli asilanti. L’anno scorso sono stati in più di 2.000 a smettere di percepire l’aiuto sociale. Ma solo il 13,4% l’ha fatto poiché ha trovato un lavoro. Il motivo più ricorrente è invece il “cambiamento di servizio sociale o di tipo di prestazione”. E alla fine paghiamo sempre noi.
R.D.
*Dal MDD
Sono ormai la maggioranza
Ma partiamo dal primo dato, ovvero il calo degli svizzeri in assistenza. Ormai gli svizzeri sono solo una minoranza (il 47,6%) dei beneficiari di assistenza, sovrastati da una maggioranza di stranieri (il 52,4%). Il sorpasso è avvenuto durante la pandemia e non sembra ormai più esserci modo di invertire i rapporti di forza. Gli stranieri si pappano una fetta sempre maggiore di un aiuto che agli inizi era riservato ai soli cittadini svizzeri. Un aiuto che in teoria era stato pensato per sopperire alle necessità della popolazione locale ma che in pratica si è trasformato in una macchina per finanziare vizi e stravizi dei migranti di mezzo mondo. I principali beneficiari, in termini numerici, sono gli eritrei. Ben 23.641 cittadini del paese africano sono dipendenti dall’aiuto sociale, addirittura più degli italiani. Se si considera che gli eritrei in Svizzera sono circa 40.000 e che molti di loro sono qui da lungo tempo, si evince che la loro integrazione nel mercato del lavoro è piuttosto scarsa, visto che oltre la metà degli eritrei resta tutto il giorno a casa in pigiama e pantofole ad attendere che gli svizzeri versino loro la consueta rendita.
I siriani tornino pure a casa
Interessante è anche il caso dei siriani, che secondo qualcuno metterebbero in difficoltà l’economia elvetica qualora dovessero decidere di tornare nel loro Paese a seguito della caduta di Assad (tanto lo sappiamo tutti che non lo faranno mai). Ebbene, potremmo iniziare a regalare un biglietto di sola andata per Damasco a quei 9.901 siriani che dipendono dall’assistenza pubblica, oltre un terzo dell’intera comunità ospitata in Svizzera, il che non significa che gli altri lavorino visto che spesso sono al beneficio di altre forme di mantenimento. Un’eventuale e auspicabile partenza in massa dei siriani non sarebbe quindi affatto un danno per l’economia bensì un sollievo per le casse statali, che si ritroverebbero con diecimila persone in meno da mantenere.
“Forte dipendenza tra i nuovi arrivati”
Tutte persone che – non si preoccupi la sinistra – verrebbero prontamente rimpiazzate dai nuovi migranti economici che sfondano le nostre porte travestiti da richiedenti l’asilo. Tutta gente che nella maggioranza dei casi non ha alcuna intenzione di rimboccarsi le maniche e cercarsi un lavoro ma preferisce starsene in panciolle negli alloggi gentilmente messi a disposizione dai contribuenti elvetici. I dati sono inequivocabili. L’UST evidenzia che l’anno scorso il tasso di dipendenza dall’aiuto sociale nel settore dell’asilo è cresciuto dal 77,9% all’84,6%. “Ciò è dovuto principalmente all’aumento del numero di nuove domande di asilo (+23,3% rispetto al 2022) e alla forte dipendenza dall’assistenza sociale tra i nuovi arrivati”, scrive l’UST come se si trattasse di una semplice constatazione scientifica. Invece è qui il vero nocciolo della questione, perché serve davvero a poco impegnarsi per reintegrare nel mercato del lavoro le persone in assistenza se poi si continuano a importarne a migliaia di nuove. Certo, è una buona notizia che l’anno scorso il tasso di assistenza tra gli svizzeri sia sceso al 2,8%, nonostante l’aumento del costo della vita e la conseguente perdita di potere di acquisto abbiano messo in difficoltà non poche famiglie. Ma non è assolutamente una buona notizia il continuo aumento di beneficiari stranieri.
Pochissimi trovano un lavoro
Che senso ha continuare a mantenere oltre 4.000 somali, più di 2.000 congolesi, più di 19.000 turchi, oltre 20.000 afghani, circa 4.000 iracheni, quasi 3.000 iraniani, oltre 1.500 tunisini, più di 2.000 brasiliani, più di 3.500 srilankesi e persino 1.269 cinesi? Se tutte queste persone non riescono a mantenersi in Svizzera, possono benissimo tornare al loro paese, dove basterà loro una piccola frazione di quanto percepiscono qui per condurre una vita più che dignitosa.
Tanto più che buona parte di queste persone non ha alcuna intenzione di rimboccarsi le maniche e provare a integrarsi nella nostra società. Lo dimostra la statistica sui motivi dell’uscita dall’assistenza degli asilanti. L’anno scorso sono stati in più di 2.000 a smettere di percepire l’aiuto sociale. Ma solo il 13,4% l’ha fatto poiché ha trovato un lavoro. Il motivo più ricorrente è invece il “cambiamento di servizio sociale o di tipo di prestazione”. E alla fine paghiamo sempre noi.
R.D.
*Dal MDD