Sport, 14 ottobre 2024

Quella pizza al Commercio col presidente visionario...

Il ricordo dell’ex massimo dirigente bianconero, scomparso nei giorni scorsi

LUGANO - Erano anni duri per l’HC Lugano. La squadra vivacchiava nel torneo cadetto, senza infamia e senza lode e con una media di spettatori casalinga fra le più basse di sempre. Quando arrivava l’Arosa tanto per citare un esempio, ce n’erano 2 mila a malapena. Il club, allora diretto da Bruno Ronchetti, aveva fallito il ritorno nella massima serie nello“spareggio” di Villars (primavera 1974) e lo spostamento armi e bagagli a Mezzovico si era rivelato un buco nell’acqua. La Resega andava sistemata e quindi non c’erano alternative. Ma intanto la squadra scendeva sempre più in basso negli indici di gradimento e le cifre si tingevano inesorabilmente di rosso. Così sul finire del 1977 ecco che qualcosa scuote il depresso ambiente bianconero: alla guida della società, ormai destinata a finire contro un muro (il fallimento), ora c’è un triumvirato composto da Geo Mantegazza, Erasmo Pelli e Severo Antonini. L’obiettivo, nobile e secondo alcuni improbabile, è quello di salvare l’HCL; se possibile rilanciarlo. 



Ed è proprio in quel contesto difficile che un giorno, siamo agli inizi del 1978 (l’anno dei Mondiali argentini) mentre mi trovavo con degli amici al bar Commercio di Lugano (c’è ancora!) mi ritrovai di fronte Geo Mantegazza: era appena tornato da Locarno, dove aveva incontrato un gruppuscolo di tifosi che volevano fondare un fan club. In realtà lo avevo conosciuto anni prima all’Istituto Elvetico, perché Claudio, uno dei suoi figli, era mio compagno di classe. A quei tempi ero stagista al Giornale del Popolo, fianco a fianco a Enrico Lafranchi, allora caporedattore dello sport e all’indimenticabile Mariano Botta, che viveva di pane e ciclismo. Il presidente mi salutò e mi disse: “Se non sbaglio lei è il figlio di un mio ex collega del ginnasio. Sieda qui accanto a me e mangiamoci una bella pizza assieme…”. 


Rimasi colpito dalla sua semplicità. Pensavo, allora ribelle, che gli uomini ricchi erano arroganti e prepotenti. Mi sbagliavo di grosso. Trovai perciò il coraggio di chiedergli se avrebbe salvato il Lugano dal fallimento e lui, senza troppi giri di parole, mi disse che avrebbe fatto il possibile. Quando ci lasciammo mi raccomandò di salutare mio padre.


Di tempo ne è poi trascorso e i nostri incontri si intensificarono per motivi professionali. Quasi sempre alla Resega. Un cenno col capo, un saluto e qualche volta due parole. Ma la vita e gli anni corrono via, e dopo la fine della sua presidenza, ci perdemmo di vista. Sin quando nel 2002, sul finire del mese di maggio, ci incontrammo per caso nel centro di Lugano. Lui sempre in forma, brillante ed empatico: il tema ricorrente era l’HCL ma accennò anche all’ex compagno di scuola, mio papà. Io inizialmente mi sorpresi per quella domanda, visto che mio padre era deceduto qualche giorno prima. Geo non lo sapeva. Quando glielo dissi mi abbracciò e si scusò. “Fai le condoglianze anche a tua mamma”. 


Sono passati 22 anni e mi emoziono ancora se ripenso a quelle parole. Il presidente della “rivoluzione” mi aveva profondamente toccato, anche se non ne ero stupito: Geo Mantegazza, imprenditore di successo, uomo risoluto e deciso, aveva (anche) un’anima buona. Lui che ha vinto le invidie e le gelosie di chi non ha capito la grandezza del suo impegno e della sua passione, nata strada facendo.


M.A.

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