"La situazione è insostenibile, mi stanca e mi stupisce", racconta Monika Jaquenod-Linder alla "NZZ am Sonntag". Specialista in cure palliative e terapia interventistica del dolore a Zurigo, Jaquenod-Linder fa tutto il possibile affinché le persone in fin di vita che lo desiderano possano morire a casa, senza ansia o soffrire di dolori terribili. Tuttavia, si trova regolarmente a dover affrontare i limiti del suo lavoro, in particolare per quanto riguarda la sommistrazione di medicamenti che fanno diminuire il dolore. Non tutte le casse malati, infatti, rimborsano determinati farmaci analgesici di cui hanno bisogno i pazienti ambulatoriali se non sono espressamente elencati nell'elenco dell'Ufficio federale della sanità (UFSP). Per gli operatori sanitari, oltre a un ulteriore stress aggiuntivo, ciò si traduce in un enorme onere amministrativo.
Questa situazione riguarda tutte le persone che beneficiano di sostegno palliativo al di fuori dell’ospedale. Sia coloro che desiderano morire in una casa di cura, sia a casa. In ospedale gli stessi medicinali vengono utilizzati in grandi quantità e pagati senza problemi tramite la tariffa ospedaliera. Il sistema quindi svantaggia i pazienti che richiedono cure ambulatoriali. Morire in ospedale, però, costa molto di più e non corrisponde, nella maggior parte dei casi, ai desideri dei pazienti.
Questa realtà è già stata denunciata dai medici nel 2022. In una lettera che la NZZ am Sonntag ha potuto leggere, hanno descritto il loro disagio all'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), denunciando questa situazione “inaccettabile” e ha inviato un elenco di undici farmaci per i quali era necessaria un'azione. Ma da allora la situazione non è migliorata.
Monika Jaquenod-Linder cita l'esempio recente di una paziente di 50 anni in fin di vita che ha assistito di recente. Curata a casa dalla figlia, soffriva di dolori atroci a causa di un tumore alla lingua, che si estendeva alla faringe e alla gola. Alla fine non riusciva più a deglutire e soffriva di una grave ansia di soffocamento. Solo un potente analgesico, il Palladon, somministrato per via endovenosa dato che la paziente non riusciva più a deglutire, alleviò la sua sofferenza. Ma Atupri, la sua cassa malattia, finora si è rifiutata di rimborsare l'analgesico in forma liquida perché non figura sulla lista dell'UFSP. La specialista avrebbe dovuto fare apposita richiesta al fondo per sperare in un sostegno e attendere la risposta prima di iniziare le cure. Un'esigenza assurda in questo caso, nota il medico: ci sono voluti diciannove giorni perché la cassa malati rispondesse, in senso negativo, alla sua richiesta. La paziente era già deceduta da diversi giorni.
L'UFSP da parte sua, tramite Jörg Indermitte, capo della divisione Medicinali dell'assicurazione malattie, afferma che questo problema è noto e che Berna ha più volte fatto appello alle casse malati per rimborsare questi mezzi anche in cure ambulatoriali. Tuttavia, l’esempio di Atupri riportato sopra mostra che non tutti sono ancora pronti a mostrare flessibilità in caso di necessità.