Sport, 06 maggio 2024

Il Grande Torino è vivo: le leggende non muoiono

75 anni fa il tragico incidente aereo sulla collina di Superga (31 morti)

LUGANO - “Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”: così scrisse Indro Montanelli, uno dei giornalisti italiani più influenti e illustri del secolo scorso, il giorno dopo la tragedia di Superga. Era il 4 maggio del 1949 e l’aereo che riportava la squadra granata a casa si era appena schiantato contro la Basilica. Le vittime furono 31: fra di essi calciatori, dirigenti, allenatori, accompagnatori e giornalisti. Con la scomparsa del Grande Toro, di colpo l’Italia ripiombò nel buio che aveva seguito la fine della seconda guerra mondiale: lacerata dalla sconfitta e finita in rovina, la nazione si aggrappò alle poche certezze che quell’epoca poteva offrirle, e la squadra piemontese era una di queste. 



“Il Paese stava rinascendo fra fatiche e patimenti; la speranza di un futuro migliore albergava nel cuore degli italiani, la voglia di tornare a ridere e a sorridere la si vedeva nelle piccole cose quotidiane” scrisse Italo Cucci, ex direttore del Guerin Sportivo e del Corriere dello Sport. E così fu: la compagine piemontese aveva regalato agli italiani momenti memorabili grazie alla bellezza del suo calcio e al talento dei suoi interpreti.


Il Toirino aveva appena conquistato il suo quartotitolo consecutivo: in Italia era praticamenteimbattibile e quindi decise di disputare un’amichevole in quel di Lisbona, contro il Benfica. Un modo come un altro per confrontarsi con glisquadroni europei e verificare la propria forza. A quei tempi non esistevano ancora tornei come la Coppa dei Campioni o la Coppa UEFA. La sfida era stata organizzata per aiutare il capitano della squadra lusitana Francisco Ferreira, in difficoltà economiche. Alla fine vinsero i padroni di casa (4-3): quella fu l’ultima esibizione dei granata. Alla trasferta non presero parte il difensore Sauro Tomà, infortunato al menisco, e il portiere di riserva Renato Gandolfi. Furono costretti a rifiutare l’invito anche l’ex CT della Nazionale Vittorio Pozzo, il radiocronista Nicolò Carosio (a causa della cresima del figlio) e il calciatore Tommaso Maestrelli, futuro tecnico della Lazio e in procinto di passare al Toro, nonché il presidente del Torino Ferruccio Novo, ammalato.


Il velivolo decollò verso le dieci del mattino con destinazione aeroporto di Torino. Le condizioni meteorologiche sul capoluogo piemontese stavano peggiorando di ora in ora. Alle 16.55 il controllore del traffico aereo comunicò ai piloti la situazione meteo: nubi costanti, rovesci di pioggia, e raffiche di vento. Quattro minuti dopo arriva la risposta dall’ aereo: « Quota 2000 metri, tagliamo su Superga ». Già, il colle di Superga sul quale spicca la basilica a 669 metri di altitudine. Alle ore 17.03 si compì allora la tragedia: l’apparecchio, eseguita la virata verso sinistra e iniziata la manovra di avvicinamento, si schiantò contro il terrapieno posteriore della basilica. Analizzando il relitto e la disposizione dei rottami non furono riscontrati tentativi di riattaccata o virata, l’unica parte del velivolo rimasta parzialmente intatta fu l’impennaggio. Delle 31 persone a bordo non si salvò nessuno. I funerali si svolsero il 6 maggio al Duomo di Torino: agli stessi parteciparono circa 600 mila persone. La tragedia ebbe un impatto anche sulla Nazionale azzurra che l’anno dopo scelse di andare ai Mondiali brasiliani in nave invece di utilizzare l’aereo.

ARNO LUPI

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